Quarant’anni fa, Malta fu teatro di una delle crisi più esplosive della sua storia recente: la saga delle scuole paritarie del 1984. Uno scontro feroce, dove l’educazione divenne il campo di battaglia di ideologie opposte e interessi politici. Il Times of Malta pubblicava il 1° settembre un editoriale dal tono cupo, avvertendo che si stava combattendo “una battaglia per garantire la libertà, ora e in futuro”
. Di lì a poco, quelle parole si sarebbero rivelate profetiche.
Il 2 ottobre, un corteo di lavoratori dei cantieri navali, infiammati da un discorso del ministro Karmenu Mifsud Bonnici, si diresse verso Valletta. Alcuni deviarono verso il Palazzo del Curia, un simbolo della Chiesa maltese, e lo devastarono in un impeto di furia. Statue distrutte, documenti sparsi: l’edificio storico fu ridotto a un simbolo di una nazione divisa.
La tensione ruotava attorno a due diritti apparentemente inconciliabili: quello dei genitori di scegliere un’educazione privata per i figli e quello dei lavoratori di scioperare per migliori condizioni salariali. Dom Mintoff e il suo successore designato, Mifsud Bonnici, promossero un modello radicale di istruzione gratuita per tutti, riassunto nel grido “jew b’xejn jew xejn”
(o gratis o niente). Il governo rifiutò di concedere licenze a otto scuole paritarie, minacciando di tenerle chiuse e mettendo in allarme la Chiesa. L’arcivescovo Joseph Mercieca tentò una mossa audace, annunciando che le scuole avrebbero comunque aperto. Ma alla fine, la pressione divenne insostenibile e Mercieca fece marcia indietro, lasciando migliaia di studenti senza aule.
Il culmine della crisi fu segnato dall’attacco al Curia. “Ero lì”, ammette Sammy Meilaq, lavoratore dei cantieri e stretto alleato di Mintoff. “Ma giuro che non era pianificato. Era una reazione spontanea, la gente era carica di emozione”. Anche se condanna la distruzione di opere d’arte e icone religiose, Meilaq aggiunge: “Capivo la loro rabbia”
. Secondo lui, la Chiesa, con l’appoggio del Partito Nazionalista, stava minacciando la stabilità civile.
L’episodio scosse l’intero Paese. “La polizia chiuse un occhio”
, denuncia l’avvocato per i diritti umani Vanni Bonello. Nessun arresto, nessuna condanna. Quella stessa notte, Mintoff condannò pubblicamente la violenza e incontrò l’arcivescovo in una lunga riunione privata. Nonostante questo, Mercieca decise di mantenere chiuse le scuole, lasciando oltre 17.000 studenti a casa. La situazione si fece sempre più drammatica: una manifestazione pacifica di genitori fu dispersa con gas lacrimogeni importati segretamente dalla Corea del Nord, e una bomba venne piazzata davanti alla residenza dell’arcivescovo.
Nel frattempo, lo sciopero degli insegnanti nelle scuole statali aggiunse ulteriore caos. Dopo anni di negoziati infruttuosi, il Malta Union of Teachers (MUT) intensificò la protesta, portando migliaia di docenti fuori dalle aule. “Il governo aveva un’altra agenda”, spiega Bonello, che rappresentò la Chiesa in tribunale. La notte del 25 settembre, poco dopo un discorso infuocato di Mifsud Bonnici, gli uffici del MUT furono devastati da vandali. Ancora una volta, nessun arresto.
La situazione raggiunse un punto critico quando una bomba distrusse l’attività commerciale del presidente dell’MUT, Alfred Buhagiar. L’MUT, sotto pressione, sospese lo sciopero il 10 novembre, ma gli insegnanti che avevano aderito furono trasferiti in massa ad altre scuole, un atto percepito come una vendetta politica.
Nel mezzo del caos, l’arcivescovo Mercieca avanzò una proposta di compromesso: le scuole paritarie sarebbero state gratuite temporaneamente, mentre si cercava una soluzione permanente. Mintoff accolse l’idea, e a metà novembre le scuole riaprirono, riportando una fragile calma.
Per Herman Grech, allora studente, quel periodo fu un momento formativo: “Ci ha insegnato a lottare per i nostri diritti. Anche se eravamo giovani, sentivamo che stavamo difendendo il nostro futuro”
. Le lezioni improvvisate nelle cucine degli insegnanti divennero simbolo di resistenza, un’esperienza che segnò un’intera generazione.
Foto e video: Archivio Times of Malta