Un musical innovativo sta scuotendo le fondamenta del teatro maltese, portando una ventata di freschezza e un inno alla resilienza delle comunità queer. Il-Każin tal-Imqarbin
di Luke Saydon non è solo uno spettacolo: è un viaggio emotivo nel cuore degli anni ’80, quando i pregiudizi sociali e la paura di una pandemia globale – l’AIDS – dominavano la vita di molti.
Una storia che tocca corde profonde, raccontando una generazione di persone spesso dimenticate. Quei momenti, così lontani eppure così vicini, rivivono sul palco in tutta la loro crudezza e bellezza. Per chi non ha vissuto quegli anni, l’immagine della comunità queer maltese potrebbe sembrare colorata e vivace come nelle serie It’s a Sin o Pose
. Ma, come sottolinea Saydon, dietro quelle tinte ci sono storie che Malta non può permettersi di perdere.
“La storia queer è recente; la parola ‘queer’ è apparsa nei tabloid solo da meno di cento anni. Siamo sempre esistiti, ma solo di recente siamo stati documentati,” afferma Saydon. “Esplorare la nostra storia è un bisogno fondamentale per noi queer. Abbiamo accesso a tanta letteratura e arte sulla nostra comunità, ma dov’è la voce maltese?”
C’è un’urgenza palpabile nel suo progetto. “Non possiamo più aspettare. Ogni giorno perdiamo persone, ogni anno perdiamo legami con una comunità che vogliamo onorare,”
dichiara con passione.
Questo non è un documentario, avverte Saydon. I ricordi e le testimonianze di quel periodo sono frammentati, ma il musical cattura una verità più profonda, intrecciando le vite dei personaggi in un arazzo di emozioni autentiche. Le storie raccolte durante i workshop hanno rivelato un mondo sorprendente e nascosto: alcuni vivevano vite segrete, altri celebravano apertamente la loro identità, creando una comunità vibrante e coraggiosa.
“C’erano bar e club che oggi non esistono più, dove persone queer, trans e drag queen vivevano con eleganza, esuberanza e gioia. Tutto questo accadeva sotto gli occhi di tutti,” racconta Saydon. “È bello sapere che la comunità prosperava già allora.”
Ma non tutto era brillante. Dietro le luci della scena si nascondevano ombre profonde. La ricerca sull’AIDS ha portato alla luce storie mai raccontate, di paura e traumi irrisolti. Ufficialmente, si parla di 58 maltesi diagnosticati con AIDS, 50 dei quali morti. Ma i racconti suggeriscono che il numero reale fosse molto più alto. “Una persona ci ha detto di aver partecipato a quattro funerali prima che l’AIDS fosse ufficialmente riconosciuto a Malta,”
rivela Saydon.
Per molti, la pandemia di COVID-19 ha risvegliato quel senso di panico. “Il tabù di essere queer è già pesante, ma il tabù di morire di una malattia vista come una punizione divina è insopportabile,”
aggiunge.
Kenneth Zammit Tabona, che ha assistito allo spettacolo, ha descritto come i ricordi di quel periodo siano riemersi con forza. “Mi ero chiuso in me stesso. Sapevo di quegli spazi, ma le reazioni della gente mi terrorizzavano. Sono andato solo un paio di volte,” confessa. I ricordi delle persone amate e perse sono ancora vivi: “Li conoscevamo, li amavamo, e sono semplicemente spariti.”
Zammit Tabona descrive la sua generazione come una generazione perduta. Molti emigrarono per sfuggire allo stigma. “Era come vivere una doppia vita. Nessuno sapeva, o forse sì, ma non l’avrei mai ammesso,” racconta. “La gente ti trattava come fossi contaminato. Dicevano che era un kastig minn Alla, una punizione divina, come se l’essere gay fosse la causa.”
Molti hanno vissuto il dolore della separazione forzata dai propri partner malati. “Era straziante. Le persone morivano di crepacuore. Nessuno riconosceva che quel tipo di amore fosse vero, e ancora oggi c’è chi non lo fa.” Zammit Tabona riflette infine: “A volte mi chiedo come abbiamo fatto a sopravvivere. Pensare a quel periodo è doloroso.”
Foto: [Archivio Times of Malta]