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Malta

contributi pensionistici: servirà davvero un anno in più?

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Una misura di bilancio ha scatenato il caos, gettando molti in uno stato di confusione e preoccupazione: per alcuni si prospetta un anno di lavoro in più, per altri è solo un falso allarme.

Tutto è nato da un provvedimento apparentemente innocuo, nascosto tra le pieghe del bilancio presentato lunedì. Eppure, quando Times of Malta  ha rivelato che chi è nato dopo il 1976 dovrà versare 42 anni di contributi per ottenere una pensione completa, anziché i 41 previsti fino a ora, la notizia ha generato scalpore.

Improvvisamente, questo punto è diventato il fulcro delle discussioni della serata, scatenando una battaglia pubblica sul tema caldo: si tratta davvero di un aumento dell’età pensionabile a Malta? Alcuni esponenti del PN hanno subito pubblicato sui social uno screenshot della misura così come descritta nel discorso di bilancio, ma hanno tagliato abilmente il paragrafo in cui il ministro delle finanze specifica che questa non è un’estensione dell’età pensionabile.

Il Partito Laburista ha prontamente replicato, definendo queste voci come “fake news” . E a rincarare la dose, il premier Robert Abela ha affrontato la questione in conferenza stampa subito dopo il discorso sul bilancio, sostenendo che anche chi inizia a lavorare più tardi per via degli studi ha diritto a dei crediti contributivi che garantiscono la pensione.

Mentre i partiti litigavano, il pubblico si è ritrovato spaesato, chiedendosi cosa significasse veramente questa misura e se davvero avrebbe dovuto aspettarsi un anno in più di lavoro.

In che cosa consiste la misura?

In termini semplici: se sei nato nel 1976 o dopo, ora dovrai versare 42 anni di contributi sociali, anziché i 41 richiesti fino ad ora. Non è la prima volta che gli anni di contributi aumentano: l’ultimo incremento, da 40 a 41 anni, introdotto nel 2016, è passato quasi inosservato, così come un aumento precedente avvenuto nel 2006 come parte di una riforma pensionistica.

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Ma attenzione: per molti questa modifica non avrà alcun impatto.

In pratica, una persona ha 47 anni di tempo, tra i 18 e i 65 anni, per versare i 42 anni di contributi necessari. Questo significa che, potenzialmente, ci si può permettere fino a cinque anni senza contributi. In altre parole, se inizi a lavorare a 23 anni e non interrompi mai la tua carriera, i 42 anni di contributi ti porteranno dritto fino ai 65 anni, l’età attuale per richiedere la pensione.

Chi inizia a lavorare anche prima, comunque, dovrà comunque attendere di compiere i 65 anni per richiedere la pensione, anche se ha già versato tutti i contributi necessari. Ma la situazione si complica per chi comincia a lavorare più tardi nella vita o ha interruzioni nella carriera lavorativa.

Cosa succede in questi casi?

Immagina di essere ancora sui banchi di scuola ben oltre i 24 anni: in quel caso, difficilmente riuscirai a completare i tuoi 42 anni di contributi prima dei 65, lasciandoti di fatto con la prospettiva di lavorare fino ai 66 anni (o oltre) per una pensione completa. Lo stesso può capitare anche a chi ha preso una pausa dalla carriera per motivi personali, come il desiderio di viaggiare o la necessità di prendersi cura di una persona cara.

In tutte queste situazioni, la prospettiva di dover lavorare un anno in più rispetto a quanto previsto in precedenza si fa concreta, salvo alcune eccezioni.

I crediti contributivi

In diversi casi, il governo mette a disposizione dei “crediti contributivi” per coprire periodi di inattività lavorativa. Questi crediti fanno sì che, anche se non stai lavorando, i tuoi contributi vengano comunque considerati come versati.

Ad esempio, se non lavori perché stai facendo volontariato (sia a Malta che all’estero), hai diritto fino a cinque anni di crediti. Se hai lasciato il lavoro per prenderti cura di un figlio, ottieni fino a quattro anni di crediti (o addirittura otto anni se tuo figlio ha una disabilità).

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Ci sono crediti anche per altre situazioni: chi riceve indennità di disoccupazione o malattia, oppure chi ha avuto un infortunio sul lavoro, può ottenere dei crediti. Tuttavia, per chi decide di prendere una pausa lavorativa per viaggiare per il mondo, la storia è diversa: in quel caso, niente crediti, a meno che non si riesca a dimostrare che il viaggio rientra in un progetto di volontariato.

E per chi studia?

Anche gli studenti ricevono crediti contributivi durante il periodo di studio, ma il numero di crediti dipende dal tipo di studi e dall’anno di nascita. Chi è nato dopo il 1962 e sta seguendo studi a livello di dottorato riceve un anno intero di crediti per ogni anno di studi, come se avesse lavorato a tempo pieno. Per chi è impegnato in corsi di livello inferiore (come laurea magistrale, triennale o diploma post-laurea), i crediti ammontano a metà anno per ogni anno di studi.

Gli studenti nati tra il 1951 e il 1962, invece, ricevono la metà dei crediti perché devono versare meno contributi per la pensione. Quindi, in questo caso, ottengono mezzo anno di crediti per studi di dottorato e 13 settimane per corsi di laurea o post-laurea.

Questi crediti sono retroattivi?

Sì, chi ha già qualche capello grigio può tirare un sospiro di sollievo: gli studi ormai lontani nel tempo continueranno a contribuire alla futura pensione. Lo stesso vale per chi ha interrotto la carriera per prendersi cura dei figli o per altre ragioni già menzionate.

Quindi, l’età pensionabile non aumenta? O sì?

In teoria, l’età pensionabile non sta aumentando, almeno non ufficialmente. Tuttavia, per chi ha preso delle pause dal lavoro senza poter usufruire dei crediti contributivi, la nuova misura potrebbe significare dover lavorare oltre i 65 anni per raggiungere i 42 anni di contributi necessari per una pensione completa.

Esiste però una via d’uscita: al compimento dei 59 anni, se ti accorgi di avere dei contributi mancanti, puoi decidere di pagare fino a cinque anni di contributi arretrati in un’unica soluzione, evitando così di dover lavorare un anno in più.

Foto: Matthew Mirabelli

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