Lo scorso settembre, l’attesissimo Future of European Competitiveness Report
di Mario Draghi ha lanciato un messaggio chiaro e preoccupante: l’Europa è sempre più debole e rischia di perdere il suo ruolo di potenza globale. Mentre gli Stati Uniti e la Cina si contendono la supremazia economica, l’Europa fatica a tenere il passo, con una posizione commerciale in costante deterioramento. È uno scenario che impone una riflessione urgente: l’Europa deve agire, e in fretta, per non scivolare nell’irrilevanza.
Il rapporto di Draghi non si limita a elencare problemi noti, ma mostra come ogni sfida sia interconnessa. “Per essere competitiva, l’Europa deve colmare il divario in innovazione, decarbonizzare l’economia, adattarsi alla nuova realtà geopolitica, incrementare gli investimenti in tecnologie digitali e pulite e riformare la sua governance”
.
Una delle chiavi per restare in gara, secondo Draghi, è la decarbonizzazione, un impegno che va ben oltre la lotta ai cambiamenti climatici. Dipendere dall’importazione di combustibili fossili significa esporre l’industria europea a costi energetici astronomici. “Attualmente, i prezzi dell’elettricità in Europa sono due o tre volte superiori a quelli degli Stati Uniti, e il gas costa fino a cinque volte di più”
si legge nel rapporto. Questo non è solo un problema ambientale, ma un chiaro ostacolo economico: se l’Europa vuole competere a livello globale, deve abbassare questi costi.
Per raggiungere l’obiettivo, però, serve un cambio di passo. Gli investimenti in impianti di energia rinnovabile e infrastrutture di rete sono indispensabili, ma al ritmo attuale l’Europa non riuscirà a soddisfare la domanda di energia nei prossimi anni. Basti pensare che i data center da soli consumano già il 2% dell’energia complessiva e si stima che arriveranno al 28% entro il 2030. E questo senza contare i nuovi settori in crescita, come la mobilità elettrica, che aggiungeranno ulteriore pressione alle infrastrutture energetiche.
Allo stesso tempo, Draghi avverte che l’Europa deve aumentare la produzione di tecnologie pulite e garantirsi un accesso stabile a materie prime strategiche provenienti da tutto il mondo. “Senza un’industria autonoma nelle tecnologie pulite, l’Europa rimarrà dipendente da paesi come la Cina, con cui non condivide visioni politiche e che potrebbe ricorrere a forme di coercizione economica”
, afferma il rapporto. È una sfida alla sovranità economica europea, che Draghi invita a non sottovalutare.
Un’altra dura verità messa in luce dal rapporto è la scarsa competitività delle aziende europee rispetto ai colossi internazionali, soprattutto nel settore delle tecnologie digitali. Draghi attribuisce questa debolezza a una mancanza di dinamismo industriale e a un ciclo dell’innovazione che si spezza troppo presto, tra difficoltà nel mercato dei capitali e ostacoli normativi. “Per superare queste barriere, l’UE ha bisogno di almeno 750-800 miliardi di euro in più ogni anno”, afferma Draghi, proponendo una riforma radicale del budget europeo con l’introduzione di un Competitiveness Pillar. Questo nuovo pilastro dovrebbe convogliare i fondi europei in progetti strategici come start-up, scale-up e investimenti privati con una maggiore propensione al rischio.
Per Malta, strettamente integrata con l’economia dell’Unione Europea, questa non è solo una questione europea ma un’opportunità di crescita. Il paese deve attrarre più aziende straniere e supportare quelle locali nei settori che l’UE considera strategici per il futuro. Sono proprio queste imprese che potranno beneficiare del Competitiveness Pillar
e di un sistema di finanziamenti più snello e orientato a settori di interesse strategico per l’Unione.
Un altro aspetto importante sarà lo sviluppo degli Important Projects of Common European Interests
(IPCEIs), iniziative supportate da aiuti di Stato e coinvolgenti più Stati membri, senza le quali gli investimenti non vedrebbero mai la luce. Quest’anno Malta ha già annunciato il suo primo IPCEI nel settore dei semiconduttori e dovrebbe puntare a sostenere ulteriori progetti che rafforzino la resilienza economica, la sicurezza e la decarbonizzazione del paese.
L’idea di raccogliere fondi aggiuntivi a livello UE attraverso prestiti congiunti non manca di oppositori, specie tra i paesi più attenti alla disciplina fiscale, restii a condividere debiti con Stati più “disinvolti”. Tuttavia, Draghi avverte che “se gli Stati membri non riusciranno a eguagliare il livello di investimento degli altri competitor internazionali, per l’Europa sarà solo questione di tempo prima di perdere il proprio peso sulla scena globale”
.
Uno dei precedenti che lascia ben sperare è il Recovery and Resilience Facility
, un programma di finanziamento comune dell’UE nato per aiutare gli Stati membri a uscire più forti dalla crisi pandemica. Questo potrebbe rappresentare un modello per futuri progetti di investimento europei mirati alla competitività. Malta farebbe bene a supportare iniziative di questo tipo, a patto di ottenere le giuste garanzie.
In definitiva, il rapporto di Draghi non è solo una diagnosi dei mali economici europei, ma un appello a prendere decisioni coraggiose in un momento di transizione cruciale. Le sfide economiche legate alla transizione verde e digitale, sommate alle incertezze geopolitiche, richiedono un’Europa pronta a scrivere il proprio futuro, anziché lasciarsi modellare dagli altri.
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