Le porte arrugginite si spalancano con un rumore assordante. Dentro, un incubo diventato realtà: uomini scheletrici, emaciati, increduli di fronte a una libertà che credevano impossibile. I ribelli siriani hanno abbattuto i lucchetti del carcere di Sednaya, gridando a gran voce: “Bashar è finito! Lo abbiamo schiacciato!”
Un video immortala l’attimo in cui i prigionieri escono dalle celle. Qualcuno non riesce nemmeno a camminare e viene trasportato a braccia dai compagni. Le celle appaiono come tombe: niente mobili, solo luride coperte ammucchiate a terra. I muri, segnati da anni di umidità e sporco, sembrano raccontare l’orrore di un luogo definito “macelleria umana”.
Il momento, che segna la fine di un capitolo oscuro della guerra civile siriana, arriva poche ore dopo la caduta di Damasco nelle mani dei ribelli, costringendo il presidente Bashar al-Assad a fuggire dopo oltre tredici anni di conflitto sanguinoso.
In un’altra ala del carcere, donne terrorizzate emergono dalle loro celle. Alcune gridano: “Ho paura!”, mentre un bambino sperduto aspetta davanti a una porta. Gli uomini armati che si aggirano tra le celle cercano di tranquillizzarle: “È caduto. Potete uscire.”
I White Helmets, gruppo di soccorso siriano, hanno ispezionato il carcere fino in fondo, alla ricerca di celle segrete. “Annunciamo la conclusione delle operazioni di ricerca per detenuti rimasti in eventuali celle sotterranee,”
hanno dichiarato, spiegando che non sono stati trovati nuovi spazi nascosti non aperti.
Il carcere di Sednaya è un simbolo di terrore. Amnesty International lo ha definito un “luogo progettato per sterminare“. Qui, secondo stime dell’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, più di 30.000 persone sono state imprigionate durante il regime di Assad, ma solo 6.000 erano state liberate fino a oggi. Tra le mura di questa prigione, migliaia di persone sono morte per torture o esecuzioni sommarie.
Nelle strade di Damasco, ora, vagano gli ex detenuti. “Molti non riescono a parlare,”
raccontano i compagni, indicando quelli che emettono solo suoni gutturali, traumatizzati dalle sofferenze subite. Alcuni di loro erano prigionieri fin dai tempi di Hafez al-Assad, padre di Bashar, il cui regime è terminato più di vent’anni fa.
Nel frattempo, centinaia di siriani si sono precipitati a Sednaya, cercando disperatamente i loro cari. Aida Taher, 65 anni, ha raccontato di essere corsa al carcere alla ricerca del fratello arrestato nel 2012. “Mi hanno detto che alcune porte delle celle sotterranee non possono essere aperte perché servono codici speciali,”
ha spiegato con voce rotta dall’emozione.
I White Helmets hanno chiesto alle famiglie di non tentare di scavare da sole nelle prigioni per non compromettere prove che potrebbero essere essenziali per ottenere giustizia.
Davanti al carcere, famiglie mostrano vecchie fotografie di giovani uomini e donne. “Li avete visti? Sono ancora qui? Sono sopravvissuti?”
, chiedono ai passanti. Qualcuno tiene in mano immagini di manifestanti che sventolano le bandiere della rivoluzione del 2011, un sogno di libertà che sembra ancora lontano.
“Abbiamo sofferto abbastanza,” conclude Aida Taher. “Vogliamo solo che i nostri figli tornino a casa.”
Foto: AFP
Video: AFP