Thomas Mifsud, un giovane determinato, ha visto infrangersi il suo sogno di giocare a pallamano con i suoi amici. La sua colpa? Usare una sedia a rotelle. Una decisione che ha scatenato accuse di discriminazione e un acceso dibattito sulla sicurezza nello sport.
La Malta Handball Association (MHA) ha respinto le accuse di discriminazione mosse dai genitori di Thomas, sostenendo che lo sport, essendo di pieno contatto, comporterebbe rischi troppo elevati per un atleta in sedia a rotelle. Ma la famiglia Mifsud non ci sta e ha portato la questione in tribunale.
I genitori del sedicenne hanno dichiarato: “La sua sedia a rotelle non rappresenta alcun pericolo, e i suoi compagni lo accettano senza problemi”. Nonostante questo, Thomas è stato escluso dalla possibilità di competere, lasciandolo a guardare da bordo campo un sogno che gli sfugge.
La MHA, dal canto suo, ha ribadito che le regole internazionali di pallamano vietano l’uso di “oggetti duri” per minimizzare il rischio di lesioni gravi. “Una sedia a rotelle può provocare gravi infortuni sia al giocatore che agli altri atleti”
, ha spiegato l’associazione, sottolineando che anche la Federazione Internazionale di Pallamano considera l’uso della sedia a rotelle una violazione dei regolamenti.
Come se non bastasse, l’associazione ha rivelato di aver appreso dai media che Thomas soffre anche di osteogenesi imperfetta, o “malattia delle ossa fragili”. “Con una condizione simile, ogni caduta, contatto fisico o persino un colpo con la palla potrebbe rappresentare un pericolo evidente e inaccettabile”
, ha aggiunto l’MHA, criticando i genitori per non aver informato del rischio sanitario aggiuntivo.
Nonostante le spiegazioni, la famiglia Mifsud rimane irremovibile e accusa l’associazione di un comportamento discriminatorio che calpesta i sogni del figlio. L’MHA ha risposto avvertendo che eventuali ulteriori azioni legali infondate porteranno a richieste di risarcimento danni contro i genitori del giovane atleta.
“La sicurezza degli atleti è una nostra responsabilità primaria”
, ha concluso l’associazione, rifiutando ogni accusa di ingiustizia.
Il caso di Thomas, però, continua a sollevare una domanda cruciale: quanto è giusto sacrificare l’inclusività in nome della sicurezza? Una risposta che, per ora, sembra lontana.
Foto: Nicolette Mifsud