La riforma delle inchieste magistrali scuote il mondo legale e giudiziario maltese. Da una parte, la Camera degli Avvocati lancia l’allarme su possibili criticità che potrebbero minare il diritto alla giustizia. Dall’altra, l’ex commissario di polizia Peter Paul Zammit accoglie positivamente alcuni cambiamenti, ma avverte: non si sta facendo abbastanza per velocizzare i tempi biblici delle inchieste.
Il provvedimento, presentato giovedì, stabilisce che la polizia diventi il primo punto di riferimento per avviare un’inchiesta magistrale, eliminando la possibilità di includere prove non ammissibili nelle richieste. Una mossa che, secondo alcuni, potrebbe complicare anziché semplificare il sistema.
Sei mesi di indagini in mano alla polizia: una scelta rischiosa?
Sia Zammit che Peter Fenech, presidente della Camera degli Avvocati, sollevano dubbi sulla decisione di affidare le indagini alla polizia per un periodo iniziale di sei mesi. Ma le loro preoccupazioni seguono percorsi diversi.
“Affidare lo stato di diritto alla sola polizia ci ha deluso più volte negli ultimi decenni”
avverte Fenech, lasciando intendere che in passato le forze dell’ordine abbiano ignorato o ritardato indagini cruciali.
Zammit, invece, teme che questo sistema possa rallentare ulteriormente i processi giudiziari, specialmente nei casi in cui magistrati e polizia non sono d’accordo sulla direzione da prendere. “Ci sono stati casi in cui la polizia ha ritenuto di non dover procedere con un’indagine, ma il magistrato sì. Se già oggi questi procedimenti si trascinano per anni, questa misura non farà che peggiorare la situazione.”
Inoltre, la polizia non può nominare esperti di sua iniziativa, dovendo attendere l’approvazione del magistrato per coinvolgere specialisti nelle indagini. Un dettaglio che, secondo Zammit, potrebbe trasformarsi in un serio ostacolo: “Se questo aspetto non viene chiarito nella nuova legge, resterà un grande punto interrogativo.”
Tempi infiniti: due anni per un’inchiesta sono troppi
Uno dei punti più controversi della riforma è il limite massimo di due anni per la chiusura di un’inchiesta. Per Zammit, questa è una follia: “Un’inchiesta non dovrebbe mai durare due anni! Anche solo i primi sei mesi di attesa per un aggiornamento sono eccessivi. Le vittime dovrebbero essere informate mensilmente, e ogni sviluppo rilevante dovrebbe essere comunicato immediatamente.”
Basta voci di corridoio: prove solide o niente inchiesta
Un altro cambiamento chiave della riforma è l’impossibilità di basare le richieste di inchiesta su prove non ammissibili. Zammit approva senza riserve: “Non si può chiedere un’indagine basandosi su semplici voci di corridoio.”
Fenech, invece, pur condividendo il principio, invita a procedere con cautela: “Siamo d’accordo che non si possa agire su semplici dicerie, ma bisogna capire bene cosa si intenda per ‘prova ammissibile’. Se il concetto è troppo restrittivo, potremmo trovarci di fronte a un serio problema.”
Ma la misura più controversa è un’altra: chi presenta una richiesta d’inchiesta ritenuta abusiva o in malafede potrebbe essere obbligato a pagarne i costi. Per Fenech, questa è una scelta “pericolosa e potenzialmente deterrente” per chi vuole denunciare un reato. Zammit, invece, ha un’opinione opposta: “Se qualcuno presenta una richiesta falsa, sta sprecando soldi pubblici. Non vedo perché non dovrebbe essere costretto a restituirli.”
Stop agli esperti fantasma: solo nomi e volti reali
La riforma introduce anche un giro di vite sulla gestione degli esperti giudiziari, stabilendo che solo singoli professionisti possano essere nominati, e non aziende o società. Zammit è d’accordo al 100%: “Non si può permettere che dietro una consulenza giudiziaria si nasconda una società. Deve esserci sempre un individuo che si assume la responsabilità.”
Tuttavia, precisa che questo non significa che un esperto non possa avvalersi dell’aiuto di collaboratori se necessario.
Gli esperti al contrattacco: “Non potremo più dare opinioni?”
Un altro aspetto che fa discutere riguarda il ruolo degli esperti nelle inchieste. La riforma chiarisce che essi dovranno limitarsi a presentare fatti, senza esprimere opinioni personali. Una restrizione che molti ritengono inaccettabile.
“Le opinioni basate sull’esperienza professionale non possono essere semplicemente eliminate” dichiara un esperto giudiziario che ha preferito restare anonimo. “In alcune situazioni, è impossibile valutare un caso senza esprimere un giudizio basato sui fatti a disposizione.”
Un altro dubbio cruciale: cosa succederà se un esperto verrà interrogato in aula? Potrà esprimere un’opinione sotto giuramento o sarà costretto a limitarsi a freddi dati tecnici? La questione resta aperta.
Foto: Matthew Mirabelli/Chris Sant Fournier