Oggi, un cittadino dell’Unione Europea è mediamente più povero del 30% rispetto a un americano. Gli Stati Uniti vantano sette colossi industriali con valutazioni da trilioni di dollari, mentre l’Europa… nessuno. Il divario nella produttività tra le due economie sta crescendo a un ritmo allarmante, soprattutto dal 2015 in poi. È successo per caso? Assolutamente no.
L’Europa si trova a un bivio cruciale. Al World Economic Forum di Davos, si è parlato delle enormi potenzialità del nostro continente: un bacino di talenti, una forza lavoro istruita, un livello di risparmio elevato. Eppure, queste risorse vengono soffocate da inefficienze strutturali, specialmente nei settori bancari e nei mercati dei capitali. Troppi imprenditori si sentono intrappolati in una ragnatela di burocrazia, regolamenti confusi e scarsa accessibilità ai finanziamenti. Questa situazione deve cambiare, o il destino dell’Europa sarà segnato dalla mediocrità, mentre USA e Cina continueranno la loro corsa verso il futuro.
L’America è costruita sulla fiducia, sulla spinta a osare. La Cina ha alimentato la sua crescita con investimenti mirati e una strategia d’innovazione aggressiva. E l’Europa? È rimasta ferma, timorosa, eccessivamente prudente. Abbiamo tutti gli strumenti per competere ai massimi livelli, ma ci manca il coraggio di usarli. Questa non è solo una questione economica: in gioco c’è il futuro del nostro stile di vita. O scegliamo di evolverci, o condanniamo le prossime generazioni a un’Europa stagnante e priva di ambizione.
A Davos, leader di spicco come Christine Lagarde, presidente della Banca Centrale Europea, e Kristalina Georgieva, direttrice del Fondo Monetario Internazionale, hanno lanciato un messaggio chiaro: l’UE ha bisogno di riforme immediate. L’attuale mercato unico è inefficiente e i mercati finanziari devono essere più aperti e accessibili. Chi fa impresa non può più essere ostacolato da regole frammentate e dall’assenza di capitali disponibili. Se l’Europa non interviene subito, rischiamo di diventare spettatori di un mondo che evolve senza di noi.
Ma il problema non è solo nelle regole, è nella mentalità. L’Europa ha perso la sua fame imprenditoriale. Troppe idee brillanti vengono abbandonate perché il rischio viene visto come un fallimento annunciato. Negli Stati Uniti, il fallimento è considerato una tappa nel percorso verso il successo. In Europa, è una condanna. Dobbiamo cambiare questa prospettiva e imparare a premiare chi osa. Dobbiamo creare un ambiente in cui chi fallisce possa rialzarsi e riprovare. Perché il vero problema di una società non è avere troppi imprenditori, ma troppo pochi.
La collaborazione tra pubblico e privato può fare la differenza. I governi devono eliminare le barriere burocratiche, semplificare i sistemi fiscali e incentivare l’innovazione. Il capitale deve fluire là dove serve, nelle mani di chi ha idee rivoluzionarie. Venture capital, private equity e finanziamenti pubblici devono diventare strumenti facilmente accessibili per chi ha il potenziale di creare valore.
Un altro grande ostacolo è la frammentazione del mercato europeo. Il sogno di un vero mercato unico è ancora incompleto. Gli imprenditori si trovano a dover affrontare ostacoli inutili quando vogliono espandersi oltre i confini nazionali: normative fiscali differenti, sistemi legali incompatibili, eccessiva burocrazia. Questo frena l’innovazione, rallenta la crescita e limita la competitività dell’Europa sullo scenario globale.
Ma non basta semplificare le regole. Serve investire nelle persone. L’Europa ha una delle forze lavoro più qualificate al mondo, ma rischia di perdere questo vantaggio se non investe nella formazione. Il mondo sta cambiando rapidamente: le competenze digitali, l’energia verde, l’intelligenza artificiale non sono più il futuro, sono il presente. Se non ci adeguiamo, saremo destinati a rincorrere gli altri.
C’è anche una questione culturale da affrontare. Come ha sottolineato Kristalina Georgieva, l’Europa è frenata dalla sua stessa modestia. Gli americani crescono in un contesto dove l’ottimismo e la fiducia sono il motore dell’innovazione. Noi, invece, ci auto-limitamo. È arrivato il momento di cambiare.
Gli imprenditori non devono più essere visti come il problema, ma come la soluzione. L’innovazione non deve essere penalizzata, ma incoraggiata. Il rischio deve essere considerato un passo necessario verso il progresso. Senza una cultura imprenditoriale forte, l’Europa non ha futuro.
Sostenere le imprese e l’innovazione non è solo una questione economica. È una necessità morale. Creare posti di lavoro, rafforzare le comunità, garantire che l’UE resti un leader globale: tutto questo dipende dall’imprenditoria. L’Europa deve proteggere i suoi valori – collaborazione, creatività, stato di diritto e resilienza – ma senza chiudersi al cambiamento.
Dopo anni di esperienza nel mondo del business, ho visto in prima persona le difficoltà di chi sceglie di innovare. Dalle startup con sogni ambiziosi alle imprese consolidate che vogliono crescere, gli ingredienti del successo sono sempre gli stessi: accesso alle risorse, libertà di innovare e coraggio di rischiare.
Purtroppo, troppe aziende europee incontrano ostacoli evitabili: trovare finanziamenti è un’impresa, districarsi nella burocrazia è una lotta quotidiana, la frammentazione del mercato è un freno costante. Se vogliamo cambiare le cose, servono leader politici che credano davvero nell’imprenditoria.
L’ottimismo è una scelta. L’Europa ha tutto per vincere. Ma dobbiamo iniziare a crederci davvero.
Stefan Gauci Scicluna è docente di finanza e management.
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