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Metsola in Medio Oriente: una missione tra speranza e tensione

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La tensione in Medio Oriente è alle stelle e Roberta Metsola arriva nel cuore del conflitto in un momento critico. La fragile tregua tra Israele e Hamas rischia di crollare da un momento all’altro: l’organizzazione palestinese accusa Israele di aver violato l’accordo, e la rappresaglia non si è fatta attendere. Il rilascio dei restanti 76 ostaggi è stato sospeso, una mossa che ha scatenato l’ira di Donald Trump, che ha minacciato conseguenze se entro il 15 febbraio tutti gli ostaggi non saranno liberati.

In questo clima infuocato, la presidente del Parlamento Europeo atterra in Israele e nei territori palestinesi per una missione delicatissima, proprio mentre si tenta disperatamente di mantenere in piedi il cessate il fuoco entrato in vigore il 19 gennaio. Un cessate il fuoco che ha fermato oltre 15 mesi di combattimenti nella Striscia di Gaza e ha portato alla liberazione di cinque gruppi di ostaggi israeliani in cambio di centinaia di prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Ma ora, tutto potrebbe essere vanificato.

Una visita tra diplomazia e tensione

Metsola ha un’agenda fitta e incontri di altissimo livello. Giovedì sarà a Gerusalemme per colloqui con il ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar e il presidente della Knesset Amir Ohana. Poi si sposterà al valico di frontiera di Kerem Shalom per osservare da vicino le operazioni umanitarie. Successivamente, farà visita alla missione dell’Unione Europea di assistenza alla frontiera di Rafah (EUBAM Rafah) e al luogo simbolo del massacro del Nova Festival a Re’im.

Venerdì sarà la volta di Ramallah, dove Metsola incontrerà la leadership palestinese. Qui è previsto un incontro con Hussein al-Sheikh, segretario generale del Comitato esecutivo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), e con Reem Al Hajajra, direttrice di Women of the Sun e candidata al Premio Sakharov 2024.

Nel corso della sua visita, Metsola avrà anche faccia a faccia toccanti con ostaggi liberati, le loro famiglie e vittime del conflitto, in un momento che si preannuncia denso di emozioni e carico di significato.

L’Europa scende in campo

Il messaggio che Metsola vuole trasmettere è chiaro: l’Unione Europea non rimarrà a guardare. La presidente del Parlamento Europeo sottolineerà la volontà dell’Europa di agire concretamente per consolidare il cessate il fuoco e l’accordo sugli ostaggi, con l’obiettivo di aprire un vero percorso di pace che garantisca sicurezza a Israele e una prospettiva reale per il popolo palestinese.

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La sua presenza sul campo vuole essere un segnale forte: “L’Europa è pronta a impegnarsi attivamente con tutti i partner della regione”  dirà Metsola, nella speranza che il suo intervento possa fare la differenza.

Ma non solo diplomazia. L’Unione Europea continuerà a inviare aiuti umanitari essenziali alla popolazione di Gaza e Metsola lancerà un appello accorato alla comunità internazionale affinché intensifichi il sostegno umanitario.

Una rete diplomatica senza precedenti

Questa missione arriva dopo settimane di febbrili contatti diplomatici. Metsola ha tenuto incontri sia di persona che telefonici con i principali attori della crisi: leader israeliani e palestinesi, rappresentanti dei Paesi arabi e interlocutori statunitensi.

Negli ultimi tempi, ha avuto colloqui cruciali al Cairo con il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, ha incontrato re Abdullah II di Giordania, ha ricevuto il primo ministro palestinese a Bruxelles e ha parlato con il ministro degli Esteri israeliano e con lo speaker della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti.

L’Unione Europea è stata tra le prime a prendere una posizione forte sulla crisi. Con una risoluzione approvata il 18 gennaio dello scorso anno, il Parlamento Europeo ha richiesto ufficialmente “il rilascio immediato di tutti gli ostaggi, lo smantellamento di Hamas, la ripresa del processo di pace e la soluzione a due Stati” .

Metsola sa che la sua visita non sarà semplice, ma il suo obiettivo è chiaro: riportare la diplomazia al centro e dimostrare che l’Europa è pronta a fare la sua parte per un futuro più stabile in una regione dilaniata dal conflitto.

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