Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha scosso il mondo con la sua proposta di esiliare i palestinesi e mettere Gaza sotto l’“autorità” degli Stati Uniti. Una proposta tanto audace quanto controversa, che ha lasciato tutti senza parole. Ma durante un incontro con il re giordano Abdullah II alla Casa Bianca, Trump ha dovuto fare i conti con una resistenza imprevista. Il monarca giordano ha rifiutato fermamente l’idea di spostare i palestinesi da Gaza, ribadendo che questa sarebbe la posizione di tutta la comunità araba. “La posizione della Giordania contro lo spostamento dei palestinesi da Gaza e dalla Cisgiordania è chiara e in linea con quella araba unita.
”
Nonostante la sua insistenza, Trump ha dovuto fare i conti con l’opposizione di Abdullah, che ha sottolineato come la priorità per la regione dovesse essere la ricostruzione di Gaza senza esili, affrontando la crisi umanitaria che sta distruggendo il territorio. “Ricostruire Gaza senza spostare i palestinesi e risolvere la grave situazione umanitaria deve essere la priorità per tutti
,” ha dichiarato il re giordano sui social media subito dopo il colloquio, mostrando un approccio più diplomatico, ma sempre fermo. In risposta alle pressioni di Trump, Abdullah ha proposto un gesto simbolico per alleviare la tensione, offrendo di accogliere 2.000 bambini palestinesi gravemente malati di cancro, un atto che Trump ha definito “un gesto davvero bello”.
Ma il gioco non finisce qui. Trump, convinto della sua proposta, ha continuato a martellare sull’idea di “prendere” Gaza, lasciando chiaramente intendere che gli Stati Uniti non avrebbero avuto bisogno di “comprare” il territorio. “Non dobbiamo comprare, Gaza sarà nostra,” ha dichiarato Trump, con la solita sicurezza che lo contraddistingue. La sua visione? Trasformare Gaza nella “Riviera del Medio Oriente”, ma solo dopo aver trasferito i palestinesi altrove, senza alcuna possibilità di ritorno. E mentre il mondo osservava, Trump ha anche negato di voler sviluppare proprietà personali nella zona, dichiarando: “No. Ho avuto una grande carriera nel settore immobiliare
,” cercando di smorzare ogni polemica su un possibile interesse economico.
Il momento della verità è arrivato, e l’incontro ha avuto luogo mentre la fragile tregua di Gaza sembra a un passo dal crollo. Trump, con la sua tipica durezza, ha minacciato che “l’inferno” si scatenerebbe se Hamas non avesse liberato tutti gli ostaggi entro sabato, ma ha anche minimizzato i rischi per la pace duratura tra Israele e Hamas, definendo i leader di Hamas come “bully”, persone deboli ma aggressive. La sua risposta? “Non ci vorrà molto tempo,” ha dichiarato, fermo nel suo intento di fare rispettare le sue condizioni.
Il re Abdullah, pur mantenendo una posizione di alleanza con gli Stati Uniti, ha respinto qualsiasi tentativo di spostare i palestinesi dalla loro terra. In effetti, la Giordania è particolarmente vulnerabile alla questione palestinese: metà della sua popolazione è di origine palestinese, e la storia del paese è segnata dalla presenza di milioni di rifugiati, sin dalla nascita di Israele nel 1948. In passato, nel 1970, la Giordania ha affrontato un conflitto sanguinoso con i gruppi palestinesi, noto come “Settembre Nero”, che ha portato all’espulsione dei combattenti dell’OLP. Da allora, il paese ha cercato di bilanciare l’alleanza con gli Stati Uniti e la sua posizione geografica e storica nella questione palestinese.
Ma le parole dure di Trump non sono passate inosservate. Ogni anno la Giordania riceve circa 750 milioni di dollari in aiuti economici e 350 milioni in aiuti militari dagli Stati Uniti, un supporto che rende difficile per Amman ignorare completamente le richieste di Washington. Ma Abdullah, come sempre, ha ribadito il suo impegno per il benessere della sua gente. “Il mio impegno primario è verso la Giordania, la sua stabilità e il benessere dei giordani,” ha scritto sui social media dopo l’incontro, un segnale chiaro che la Giordania non accetterà passivamente le pressioni americane.
Foto: [Archivio AFP]