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Malta

L’esplosione alla Um El Faroud: 30 anni dopo, il dolore è ancora vivo

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Un’esplosione devastante e un dolore che dura da 30 anni

Era la notte del 3 febbraio 1995 quando un boato sconvolse Malta. Un’esplosione violentissima squarciò la petroliera libica Um El Faroud come una scatola di sardine, trasformando i Malta Drydocks nel teatro di una delle peggiori tragedie industriali della storia del Paese. Nove operai persero la vita, alcuni sul colpo, altri poco dopo in ospedale, lasciando dietro di sé famiglie spezzate e un dolore che ancora oggi, a distanza di tre decenni, brucia come una ferita aperta.

“Ricordo quella notte come se fosse ieri,” racconta Mary Grace Sciberras, figlia di Angelo, uno degli operai uccisi. “Ci svegliarono nel cuore della notte dicendoci che mio padre era stato ‘lievemente ferito’ al lavoro. Ma quando arrivammo in ospedale, qualcuno si avvicinò a mio fratello e gli chiese se fosse in grado di riconoscerlo. Fu in quel momento che ci dissero la verità: papà era morto. Il suo corpo non era neanche più integro.”

L’esplosione che fece tremare Malta

Alle 22:30 di quella notte maledetta, il cantiere navale venne scosso da un’enorme esplosione. La petroliera, un gigante di 3.000 tonnellate lungo 115 metri, era in fase di riparazione quando i vapori infiammabili accumulati nei serbatoi si accesero, provocando una deflagrazione che devastò la sezione centrale e la prua della nave.

Sette operai morirono all’istante. Altri due lottarono per la vita, ma non ce la fecero. Le vittime furono:

  • Carmelo Callus, 47 anni, Valletta
  • George Aquilina, 25 anni, Qormi
  • Simon Pisani, 22 anni, Msida
  • Simon Mifsud, 27 anni, Vittoriosa
  • Mario Hales, 40 anni, Mqabba
  • Angelo Sciberras, 51 anni, Żabbar
  • George Xuereb, 58 anni, Qormi
  • Paul Seguna, 37 anni, Żebbuġ
  • Anthony Vassallo, 30 anni, Dingli

Tre giorni dopo, Malta si fermò per un funerale di Stato nella chiesa di Paola. Centinaia di persone si strinsero attorno alle famiglie distrutte dal dolore.

Il ricordo indelebile delle famiglie

Dopo trent’anni, Times of Malta ha riportato i familiari delle vittime sul luogo della tragedia, nel bacino di carenaggio 3, per ricordare quei momenti strazianti.

Rita Seguna, moglie di Paul, ricorda ancora le ultime parole del marito. “Mi hanno detto che era cosciente mentre lo portavano in ospedale, che parlava con i soccorritori. Poi, poco dopo, è morto. Vorrei tanto che fosse sopravvissuto, ma le sue ferite erano troppo gravi. Forse è stato meglio così. I piani di Dio sono un mistero.”

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Rita e Mary Grace hanno camminato silenziosamente lungo il Dock 3, con piccoli mazzi di fiori tra le mani, che poi hanno deposto nel punto esatto in cui i loro cari persero la vita. Un brivido le ha percorse quando hanno alzato lo sguardo verso la torre dell’orologio delle fortificazioni di Senglea: segnava le 22:30, l’ora esatta dell’esplosione. “Mi vengono i brividi,”  ha sussurrato Mary Grace.

Per loro, tornare in quel luogo è stato difficilissimo. Troppo dolore, troppi ricordi.

La disperazione delle famiglie e l’orrore degli esperti

L’attuale vicedirettore del Times of Malta, Scicluna, all’epoca giovane reporter, fu tra i primi a giungere sulla scena. “Non dimenticherò mai il terrore sul volto delle mogli degli operai, fuori dal cantiere, disperate, in attesa di sapere se i loro mariti erano ancora vivi.”

Il professor Alfred Vella, oggi rettore dell’Università di Malta, fu uno degli esperti chiamati sulla nave subito dopo l’esplosione. “L’incendio ancora divampava, e dovevamo capire quanti corpi ci fossero e se si trattasse di un incidente o di un attacco terroristico.”

Una scena lo tormenta ancora oggi: “C’era un operaio morto steso sul molo, schiacciato da pesanti barre di metallo. Una tubatura rotta spruzzava acqua sul suo corpo, come una macabra fontana.”

Un disastro annunciato? L’inchiesta e le responsabilità

L’esplosione scioccò l’intero Paese. Fu proclamato un giorno di lutto nazionale e subito venne avviata un’inchiesta, conclusa un anno dopo.

Il rapporto rivelò dettagli inquietanti. La Um El Faroud, di proprietà della General National Transport Company della Libia, trasportava prodotti petroliferi da anni e necessitava di un’ampia manutenzione. I serbatoi erano stati svuotati, ma contenevano ancora vapori altamente infiammabili.

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Uno degli operai stava eseguendo un taglio su una valvola nella zona del manifold, proprio sopra il serbatoio numero tre. Le scintille della saldatura entrarono attraverso un Butterworth hole (un’apertura di manutenzione), incendiando i vapori. Il risultato fu devastante: la nave esplose, aprendo lo scafo come una lattina schiacciata.

Le indagini puntarono il dito contro la gestione dei cantieri navali, ritenuta responsabile per gravi negligenze. Quattro dipendenti furono accusati di omicidio colposo.

Le famiglie delle vittime avviarono una causa civile contro il governo, ottenendo un risarcimento attraverso un accordo extragiudiziale. Ma nessuna somma di denaro potrà mai cancellare il dolore.

“Anche dopo 30 anni, il vuoto che ha lasciato mio padre è incolmabile,”  dice Mary Grace.

Dalla tragedia alla rinascita: il relitto diventa un monumento sottomarino

Dichiarata irrecuperabile, la Um El Faroud venne affondata al largo della costa sud di Malta, trasformandosi in una barriera artificiale e in una delle mete subacquee più celebri dell’isola. Oggi, il suo relitto giace in fondo al mare, con una targa commemorativa dedicata ai nove operai morti in quella notte infernale.

Stasera, alle 18:30, nella Basilica di Cristo Re a Paola, verrà celebrata una messa in loro memoria, per non dimenticare mai il sacrificio di quegli uomini e l’ingiustizia che ha spezzato le loro vite.


Foto e video: Courtesy of GWU e Union Print Library, Karl Andrew Micallef

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