Nel cuore del Mediterraneo, una decisione politica controversa sta facendo discutere: chi non ha diritto allo status di rifugiato sarà rimpatriato, ha dichiarato il Ministro dell’Interno Byron Camilleri, aggiungendo che questa politica ridurrà le pericolose traversate e le morti in mare.
Ma cosa si cela dietro questa affermazione? Yosuf Ahmed Adam, un uomo che vive a Malta da ben 13 anni, rischia di essere rimandato in Etiopia, una regione devastata dai conflitti. “Tornare lì potrebbe significare la mia morte o l’imprigionamento,”
ha confessato Adam, portando alla luce una realtà agghiacciante che mette in discussione il sistema di asilo maltese.
Camilleri, però, difende con fermezza le procedure attuate dall’Agenzia per la Protezione Internazionale, sottolineando che vi sono numerose garanzie per evitare che autentici rifugiati vengano espulsi. “La decisione sullo status di rifugiato si basa sul fatto che una persona fugga da un paese a causa di guerra o altri fattori, come l’essere omosessuali o seguire una religione che potrebbe avere conseguenze gravi,”
ha spiegato il Ministro.
Per Camilleri, la chiave è il rispetto della legge: “Chi ha diritto allo status di rifugiato sarà aiutato, ma chi non lo ha deve essere rimpatriato.” La sua posizione è chiara: non si possono incentivare viaggi pericolosi che trasformano il Mediterraneo in un cimitero. “Dovremmo adottare politiche che incoraggiano queste traversate gestite da trafficanti? Il Mediterraneo non può essere lasciato a questo destino.”
Negli ultimi quattro anni, oltre 900 richiedenti asilo sono stati rimpatriati dopo il rifiuto della loro domanda di protezione. “Alcuni hanno scelto di tornare volontariamente, altri sono stati costretti,”
ha rivelato Camilleri, aggiungendo che i rimpatri sono supportati da un’iniziativa dell’Unione Europea.
Eppure, il caso di Adam solleva dubbi. Ha imparato il maltese, ha contribuito al mercato del lavoro per 13 anni, eppure ora si trova detenuto insieme ad altri etiopi dal mese di agosto. Camilleri non arretra e punta il dito contro chi rifiuta di cooperare: “Il fatto di non aver collaborato, secondo me, non dovrebbe portare a decisioni diverse. I procedimenti giudiziari avviati da loro stessi stanno causando ritardi, ma la decisione finale non cambierà.”
Sulla questione interviene anche il sottosegretario ombra per gli Affari Interni, Darren Carabott, che critica la lunghezza dei procedimenti d’asilo. “La legge è chiara su chi ha diritto alla protezione internazionale e deve essere applicata. Ma questa stessa legge richiede che le decisioni vengano prese in tempi ‘ragionevoli’. È qui che il governo sta fallendo.”
Carabott non si ferma: “Permettere che i procedimenti durino 13 anni è inaccettabile. Questa inefficienza ha creato una situazione che trasforma i richiedenti in vittime, come nel caso di Adam.”
Foto e Video: Jonathan Borg