venerdì, Aprile 19, 2024
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Silicon Valley Bank in bancarotta: le ragioni del collasso

La Silicon Valley Bank è la seconda banca californiana a chiudere i battenti nel giro di poco tempo: anche la Silvergate Capital Corp, apparentemente al settore delle criptovalute, ha deciso di chiudere le proprie attività e avviare le pratiche per la liquidazione. La SVB è fallita nel giro di 72 ore generando un’onda di tensione sui mercati finanziari. Non è mancato il paragone con il caso Lehman Brothers, una delle più grandi branche d’affari di New York il cui crollo ha segnato l’inizio della crisi del 2008.

La Silicon Valley Bank è stata fondata nel 1983 da un’idea nata durante une partita di poker; lo stesso anno fu costruito il primo ufficio e solo nel 1988, dopo la fusione con la National InterCity Bancorp e l’apertura di un altro ufficio a Santa Clara, ha completato la sua offerta pubblica iniziale raccogliendo 6 milioni di dollari per lo sbarco in Borsa. La SVB era una banca specializzata nei finanziamenti di start-up tecnologiche, contava circa 209,0 miliardi di dollari in asset e 175,4 miliardi in depositi.

I problemi della Silicon Valley Bank hanno origine nel periodo della pandemia, quando la crescita del settore tecnologico ha fatto sì che le casse della banca si gonfiassero di depositi della clientela. Le imprese della Silicon Valley avevano denaro da investire, da qui la scelta di depositarli in attesa che il mercato generale riprendesse a funzionare a pieno regime. Nel marzo 2021, ad un anno dallo scoppio della pandemia, i depositi totali della banca sono raddoppiati da 62 a 124 miliardi di dollari. Inoltre, gran parte dei depositi, il 93% circa, non era assicurato dalla Federal Deposit Insurance Corporation.

Nel periodo pandemico, la SVB ha investito una buona parte dei depositi in titoli di Stato americani a lungo termine, corrispondendo un tasso di interesse relativamente basso, circa l’1,79%: dato che la banca non pagava gli interessi sui depositi, l’operazione si dimostrò profittevole. La SVB viene quindi inserita nella classifica stilata da Forbes tra le banche migliori d’America, neppure una settimana prima la dichiarazione di bancarotta.

Ciò che ha portato la Silicon Valley Bank al fallimento non è stata l’operazione stessa di acquisto dei buoni del tesoro americani, ritenuti tra gli strumenti finanziari più sicuri nel mercato, bensì non aver anticipato che la Federal Reserve, per contrastare l’inflazione, avrebbe di lì a poco innalzato i tassi d’interesse. Colpisce infatti che la banca non sia corsi ai ripari mesi prima quando erano chiare le intenzioni della FED, vendendo i titoli ad un prezzo più basso, causando dunque delle minusvalenze, ma almeno evitando il fallimento. Al contrario la banca ha pensato che l’inflazione fosse un fenomeno passeggero e che i tassi sarebbero tornati a scendere. Inizialmente, tale aumento dei tassi di interesse si è manifestato su quelli manovrati dalla Fed stessa, quindi sui prestiti a brevissimo termine che si consumano tra le banche stesse.

Come riflesso, questa operazione si è ripercossa però anche sui depositi bancari, ovvero soldi che imprese e privati prestano alle banche con la clausola di poterli ritirare in qualsiasi momento e senza preavviso. Difatti, così è accaduto: alle prime avvisaglie di un crollo bancario, alcune società di venture capital hanno consigliato alle aziende di ritirare i propri depositi dall’istituto, operazione che ha aggravato ulteriormente le posizioni della SVB. Il fenomeno cui si è assistito è stato di una vera e propria fuga e di un fallimento a stretto giro, avvenuto nel giro di 3 giorni: la SVB, come qualsiasi altra banca al mondo, aveva disponibile solo una minima parte del valore di tutti depositi, quella che sarebbe comunque bastata in un regime ordinario di operazioni bancarie. Invece, il prelievo massivo e totalizzante avviato da tutti i suoi clienti, ha reso gravemente insufficiente quella “scorta”. Quella liquidità arrivata a cascata nel 2020, si è prosciugata velocemente: 42 miliardi di dollari, un quarto dei depositi totali ritirati in 24 ore.

La banca, a quel punto, poteva scegliere tra due opzioni: chiedere un prestito oppure vendere tutti i suoi asset. La prima scelta si è rivelata la più corretta, in quanto disinvestire i propri asset avrebbe significato incamerare perdite ancora più considerevoli.

È intervenuta la Federal Deposit Insurance Corp, l’ente federale di assicurazione dei depositi. Come accade in Europa, i depositi sono assicurati fino ad un certo ammontare, nella fattispecie sino a 250mila dollari. Ma, come è stato già affermato, quasi la totalità dei depositi era oltre la soglia di garanzia; questo non significa che aziende e privati non verranno rimborsati dei propri depositi, piuttosto dovranno attendere la liquidazione della banca.

Venerdì 10 marzo è intervenuto infine il governo con la decisione di chiudere la banca per tutelare i proprietari dei conti.

Secondo gli eserpi, uno dei motivi del fallimento della SVB è stata la non differenziazione delle attività e degli investimenti, tutti concentrati ed esposti nel settore High Tech.

La paura adesso è che un possibile contagio induca la clientela a ritirare denaro contante anche in altre banche. Ciò che si sta registrando nelle ultime ore è un calo generale di iniziativa imprenditoriale e di investimento, sia a livello americano che europeo. Tuttavia parliamo di un calo che non spaventa, perché considerato come naturale conseguenza del crollo della SVB. I mercati, infatti, non temono il fallimento generale ma il messaggio che ha trasmesso, a livello mondiale, questo immediato plot-twist.

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