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CSDDD: Che fine ha fatto l’articolo 25?

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Luke Hili

Secondo Luke Hili, associato di Ganado Advocates, l’eliminazione dell’articolo 25 della proposta originaria della CSDDD, che avrebbe imposto agli amministratori di prendere in considerazione i fattori di sostenibilità nell’adempimento del loro dovere fiduciario, avrebbe cambiato le carte in tavola.

Dopo molte contrattazioni politiche, l’ambito di applicazione della Direttiva sulla Due Diligence di Sostenibilità delle Imprese (CSDDD o CS3D) recentemente adottata dal Parlamento europeo è stato significativamente attenuato e limitato (tra l’altro) alle grandi aziende con più di 1000 dipendenti e un fatturato annuo superiore a 450 milioni di euro.

Inoltre, il legislatore europeo ha completamente eliminato i precedenti tentativi di includere settori ad alto impatto come la produzione tessile e l’agricoltura. Quest’ultima omissione (che contrasta con lo spirito stesso della direttiva) è stata ampiamente pubblicizzata come un fallimento della diplomazia, se così si può dire, ma un’altra omissione degna di nota sembra essere passata sotto silenzio.

Si tratta della completa eliminazione dell’articolo 25 della proposta originaria della CSDDD, che si concentrava esclusivamente su un dovere di diligenza degli amministratori “rinnovato”.

In poche parole, il testo di questo articolo richiedeva agli amministratori di prendere in considerazione i fattori di sostenibilità (in particolare, le preoccupazioni ambientali e le questioni relative ai diritti umani) nell’adempimento del loro dovere fiduciario di agire nel migliore interesse della società.

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Questo avrebbe cambiato le carte in tavola su diversi fronti.

Dal punto di vista della sostenibilità, l’introduzione di questo requisito avrebbe dato un notevole impulso all’agenda verde dell’UE, ritenendo gli amministratori responsabili degli effetti delle loro decisioni sull’ambiente e sulla società in generale (ciò che negli ambienti della sostenibilità è stato definito “materialità dell’impatto”).

Ciò avrebbe di per sé avuto serie ripercussioni sulla teoria di lunga data della “shareholder primacy” (che è essenzialmente una teoria di corporate governance che dà priorità alla generazione di valore per gli azionisti), sostituendo definitivamente l’approccio “shareholder-centrico” che questa teoria sostiene con uno che assegna maggiore importanza agli stakeholder di un’entità e all’ambiente in cui opera.

Dal punto di vista del diritto societario, questo requisito avrebbe avuto un interessante effetto domino in tutti gli Stati membri dell’UE. A Malta, sarebbe stato presumibilmente recepito nella legislazione nazionale in virtù di un emendamento all’articolo 136A del Companies Act (Cap. 386 delle leggi di Malta) (il “CA”) che stabilisce i doveri generali degli amministratori; tra questi, il primo è il dovere dell’amministratore di “agire onestamente e in buona fede nel miglior interesse della società” (cfr. articolo 136A(1) del CA).

In realtà, se si adottasse un’interpretazione espansiva del suddetto articolo 136A(1), si potrebbe sostenere che “agire nel miglior interesse della società” dovrebbe essere interpretato nel senso di richiedere agli amministratori di prendere in considerazione, come minimo, i rischi di sostenibilità, ossia eventi ambientali, sociali o di governance che avrebbero un impatto negativo sulla società e sulle sue operazioni (e potenzialmente, quindi, sul valore per gli azionisti!) nella misura in cui si dovessero concretizzare.

Questa interpretazione, tuttavia, non comporta necessariamente l’obbligo per gli amministratori di prendere in considerazione e/o mitigare gli effetti negativi della società sull’ambiente in cui opera.

È interessante notare che il diritto societario britannico tiene conto di questo scenario (in una certa misura) adottando il concetto di “valore per l’azionista illuminato” (“ESV”).

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L’ESV stabilisce che, nell’esercitare il proprio dovere di promuovere il successo della società, un amministratore deve “tenere conto” di diversi fattori, tra cui l’impatto delle operazioni della società sulla comunità e sull’ambiente (si veda l’articolo 172 del Companies Act britannico del 2006).

Questo dovere di diligenza “rafforzato” corrisponde molto bene allo spirito di ciò che l’articolo 25 della proposta di CSDDD ha cercato di ottenere; anche se, a dire il vero, quest’ultimo era di natura più incisiva, richiedendo agli amministratori di “prendere in considerazione” (e non semplicemente di avere riguardo) le conseguenze delle loro decisioni in materia di sostenibilità.

Viene da chiedersi se l’articolo 25 della proposta CSDDD avrebbe visto la luce se fosse stato più simile all’ESV, sia nella natura che nelle conseguenze.

In ogni caso, in un mondo in cui l’informativa e la rendicontazione sulla sostenibilità (CSRD, qualcuno?) diventano sempre più diffuse, ci si chiede se rimarrà la necessità di un “articolo 25” o se la considerazione di tali questioni di sostenibilità da parte degli amministratori diventerà una conclusione scontata.

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