Aprire il rubinetto e vedere scorrere un rivolo marrone. Un’immagine agghiacciante, ma è stata la realtà di Chanel McGee nel 2014. Da quel giorno, la sua vita e quella degli abitanti di Flint, Michigan, non è più la stessa. La città, nota per la sua acqua inquinata e le sue disastrose conseguenze, vive ancora oggi una crisi che ha lasciato cicatrici profonde. Ma la storia non si ferma qui: la rabbia contro la politica e la diffidenza verso le autorità sono esplose, minacciando di influenzare persino la corsa alla Casa Bianca.
Dieci anni sono passati da quel fatidico giorno e Chanel, madre di due figli, ha scelto di vivere solo con acqua in bottiglia. “Ho iniziato a sentirmi male… Ora bevo solo acqua in bottiglia, non bevo dal rubinetto perché non mi piace l’odore,” confessa la donna di 47 anni, mentre l’aria nella sua cucina è satura di un odore pungente di muffa. Vicino al lavandino, una trappola nera piena di insetti racconta una battaglia quotidiana contro l’ambiente ostile della sua stessa casa. Per lavarsi, Chanel deve riscaldare l’acqua in pentole sul fornello, come se vivesse in un’epoca passata. “Voglio che tutto cambi, voglio che i fiumi siano puliti, voglio che tutto sia decente per noi e per i bambini… Sono stanca di tutto questo,” dichiara con esasperazione. E con una punta di amarezza, aggiunge: “Non continuerò a piangere su questa situazione.”
Il disastro di Flint, esploso nel 2014, ha le sue radici in una decisione politica folle: cambiare la fonte di approvvigionamento idrico per risparmiare. Invece di utilizzare i laghi cristallini della regione, uno dei più grandi bacini d’acqua dolce al mondo, le autorità hanno scelto un fiume inquinato e acido, esponendo 100.000 persone a livelli tossici di piombo per oltre un anno. Le conseguenze? Terribili: casi di disabilità cognitive tra i bambini, un’esplosione di casi di Legionella che ha causato la morte di una dozzina di persone, e una città intera che non si fida più di chi dovrebbe proteggerla. “Dicono che ora si può bere, ma io non ci penso nemmeno,”
esclama Chanel con una risata amara.
La fiducia, o meglio la totale assenza di fiducia, si estende fino ai candidati alla presidenza degli Stati Uniti. Chanel non crede in nessuno, né in Donald Trump né in Kamala Harris. Di Trump, commenta sarcastica: “Cosa farà per noi? Cambierà l’acqua? Cambierà la città?” Quanto a Harris, ammette di non conoscerla affatto: “Non so neanche chi sia,”
dice con una scrollata di spalle.
Anche Dennis Robinson, 69 anni, residente di Flint da una vita, è della stessa opinione. Seduto in un diner dal mattone giallo, ammette con disillusione: “Puoi mentirmi solo fino a un certo punto.” Ex dipendente della General Motors, la storica azienda fondata proprio a Flint, Robinson ha notato con preoccupazione il crescente numero di bambini con difficoltà di apprendimento, che attribuisce all’esposizione al piombo. “Questa crisi ha creato una generazione di giovani che dovranno affrontare lotte per tutta la vita,”
dice con un profondo sospiro, consapevole che il futuro della città rimane incerto.
Nonostante i molti sforzi pubblici e privati per risollevare Flint, la città fatica a rialzarsi. Più di un terzo della popolazione vive sotto la soglia di povertà, e se il centro mostra qualche segnale di rinnovamento, con i suoi eleganti edifici in stile art déco, vasti quartieri raccontano un’altra storia: porte sbarrate e verande fatiscenti ricordano a tutti quanto lavoro ci sia ancora da fare.
Bri Gallinet, cameriera in un ristorante di lusso della città, racconta di quando la crisi esplose per la prima volta, e del panico che ne seguì. Ma oggi, dice, chi visita Flint spesso fa battute sull’acqua. “Ogni volta che serviamo l’acqua a tavola, ci chiedono se è sicura,” dice la 35enne con un sorriso amaro. “La mia prima risposta è: non cerco di avvelenare nessuno. Ma non è divertente, ci ferisce.”
Foto: AFP7