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Ramallah attende col fiato sospeso: lacrime e abbracci per i prigionieri liberati

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Azzam al-Shallalta, appena sceso dal pullman che lo ha portato a Ramallah, si è inginocchiato davanti a sua madre, le lacrime che gli rigavano il viso. La scena, carica di emozione, ha rapito il cuore di tutti i presenti, mentre il prigioniero, appena liberato, veniva accolto da una folla in festa. Indossava ancora la sua tuta grigia da prigioniero, ma nulla poteva nascondere la gioia del momento. Sollevato sulle spalle dei suoi compagni, Shallalta ha parlato con il cuore: “La mia situazione era straziante, veramente straziante. Preghiamo Dio affinché tutti i nostri fratelli che abbiamo lasciato dietro di noi possano essere liberati.”

Il suo viso, pallido e segnato dagli anni di prigionia, era incorniciato da una lunga barba rossa. “Non riesco a descrivere l’emozione: solo sentire la notizia della mia liberazione è stato travolgente”  ha aggiunto, mentre stringeva le mani di chi gli offriva il proprio supporto. Intorno a lui, bandiere palestinesi sventolavano e la folla cantava in festa, accogliendo i prigionieri con lacrime e abbracci.

Centinaia di persone si erano radunate nel centro sportivo locale per assistere al loro arrivo, mentre fuochi d’artificio illuminavano il cielo. Altri ancora si erano posizionati sulle colline circostanti per non perdersi quel momento storico. Israele, infatti, aveva rilasciato 200 prigionieri palestinesi come parte dell’accordo per la tregua, in cambio di quattro soldatesse israeliane detenute a Gaza.

Non tutti i liberati sono tornati in Cisgiordania: sedici sono stati trasferiti a Gaza, mentre 70 hanno dovuto accettare l’esilio in Algeria, Tunisia o Turchia. Ben 121 di questi prigionieri stavano scontando condanne all’ergastolo.

Tareq Yahya, un altro dei prigionieri liberati, non ha trattenuto l’emozione mentre si univa alla folla. “È incredibile l’amore che il nostro popolo ci ha dimostrato, come ci è stato vicino e ha espresso la sua solidarietà” ha dichiarato con la voce rotta. Yahya, 31 anni, originario di Jenin, cercava disperatamente tra la folla i suoi familiari, ma non li ha trovati. “Credo che, a causa della situazione a Jenin, non siano riusciti a venire”  ha detto, riferendosi alle operazioni militari israeliane in corso nella città.

Nonostante la gioia per la libertà ritrovata, Yahya ha rivolto un pensiero ai prigionieri ancora in attesa“I garanti della tregua devono stabilire condizioni forti per impedire i maltrattamenti e le umiliazioni che abbiamo subito nei giorni prima della nostra liberazione” ha affermato con decisione.

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Anche per Maisa Abu Bakr e la sua famiglia è stata una giornata di attesa e trepidazione. Si erano recati al centro sportivo per accogliere suo zio, Yasser Abu Bakr, prigioniero dal 2002 e condannato a più ergastoli. “Seguivamo avidamente le notizie su Telegram e in TV, pronti con i nostri abiti migliori per venire qui” ha raccontato Maisa. Quando il suo nome è apparso sulla lista dei liberati, la sorpresa è stata immensa. “Non ci aspettavamo che fosse liberato.”

Non tutte le famiglie, però, hanno vissuto la stessa fortuna. La famiglia di Sadiqi al-Zaro, 65 anni, ha affrontato un viaggio lungo e faticoso da Hebron a Ramallah dopo aver ricevuto una telefonata da un ufficiale israeliano che assicurava la sua liberazione. “Siamo rimasti scioccati quando il suo nome non era nella lista ufficiale” ha spiegato il nipote Tareq. I meccanismi per la selezione dei prigionieri, spesso opachi, hanno lasciato molte famiglie in un limbo di incertezza. “Lo lasciamo nelle mani di Dio. Siamo venuti qui basandoci su una telefonata e, se Dio vuole, sarà liberato con un annuncio ufficiale”  ha concluso Tareq, con gli occhi pieni di speranza.

Foto: Zain Jaafar / AFP

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