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Netanyahu ignora gli alleati: tregua rifiutata, escalation in arrivo?

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Israele ha detto “no” a una tregua di 21 giorni in Libano e promette battaglia fino alla fine. Non importa che a chiedere una pausa siano stati proprio i suoi alleati, tra cui gli Stati Uniti e la Francia. La missione è una sola: annientare Hezbollah, a qualsiasi costo. E tutto questo mentre il mondo attende che il primo ministro Benjamin Netanyahu si presenti all’Assemblea Generale dell’ONU venerdì.

Questa settimana, i raid israeliani contro le roccaforti di Hezbollah in Libano – il gruppo sostenuto dall’Iran – hanno già fatto centinaia di vittime, mentre i militanti non sono rimasti a guardare e hanno risposto con una pioggia di razzi. La situazione è esplosiva, e la domanda che tutti si pongono è: quanto potrà durare ancora?

Mercoledì, gli Stati Uniti, la Francia e altri alleati hanno proposto una tregua di 21 giorni, in seguito a un incontro tra Joe Biden e Emmanuel Macron a New York. Un tentativo di raffreddare il conflitto. Ma giovedì Netanyahu ha gelato le speranze, ordinando all’esercito di “combattere con tutta la forza” e ignorando l’appello internazionale. E la Casa Bianca non l’ha presa affatto bene: il portavoce della sicurezza nazionale John Kirby ha espresso il suo disappunto, spiegando che la proposta “aveva richiesto molta attenzione e impegno” .

Macron, parlando dal Canada dopo un incontro con il primo ministro Justin Trudeau, che appoggia la tregua, ha definito il rifiuto di Netanyahu un “errore” e ha avvertito che il leader israeliano dovrà “assumersi la responsabilità”  di un’escalation nella regione. Non è un segreto che la tregua fosse stata concordata con Netanyahu stesso, rendendo la sua scelta ancora più sorprendente.

La dichiarazione congiunta sulla tregua non usa mezzi termini: la situazione in Libano è diventata “intollerabile” e “non è nell’interesse di nessuno, né del popolo israeliano né di quello libanese” . E i numeri parlano chiaro: secondo il ministero della salute libanese, negli ultimi bombardamenti israeliani sono morte 92 persone, e altre 153 sono rimaste ferite solo nelle ultime 24 ore. In totale, sono più di 1.500 le vittime dall’inizio delle ostilità tra Israele e Hezbollah lo scorso ottobre, e il bilancio settimanale supera le 700 morti.

Ma non finisce qui. I combattimenti hanno costretto circa 118.000 persone a lasciare le proprie case solo nell’ultima settimana, secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni. E il segretario di Stato americano Antony Blinken ha detto chiaramente al ministro israeliano degli affari strategici che una tregua permetterebbe ai civili “su entrambi i lati del confine di tornare alle loro case”“Un’ulteriore escalation renderà solo più difficile raggiungere questo obiettivo”, ha aggiunto il portavoce Matthew Miller.

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Nel frattempo, Israele ha ottenuto un nuovo pacchetto di aiuti da 8,7 miliardi di dollari dagli Stati Uniti per sostenere i suoi sforzi militari. Un chiaro segnale che Washington, pur delusa dal rifiuto della tregua, non intende usare il suo aiuto come leva per fermare il conflitto.

E intanto, sul campo, si contano i morti. Per la quarta volta in pochi giorni, Israele ha colpito il sud di Beirut, uccidendo il comandante dell’unità droni di Hezbollah, Mohammed Srur, nato nel 1973. “Abbiamo colpito ed eliminato il comandante dell’unità aerea di Hezbollah”, ha dichiarato l’esercito israeliano, mentre Hezbollah confermava la sua morte in un comunicato. Il ministero della salute libanese ha riportato che altre due persone sono morte nell’attacco, e 15 sono rimaste ferite, “tra cui una donna in condizioni critiche” .

E se tutto questo non bastasse, i missili arrivano ora anche dallo Yemen. Giovedì, Israele ha intercettato un missile lanciato dai ribelli Huthi, sostenuti dall’Iran. Il leader del gruppo, Abdul Malik al-Huthi, ha dichiarato pubblicamente che non esiterà a “sostenere il Libano e Hezbollah”  se la situazione dovesse peggiorare. Da novembre scorso, gli Huthi hanno già colpito più volte le rotte marittime del Mar Rosso con droni e missili, affermando di agire in solidarietà con i palestinesi nel conflitto di Gaza, che ha avuto inizio dopo l’attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre.

Ma non ci sono solo missili a preoccupare la comunità internazionale. Secondo i diplomatici, la chiave per fermare la guerra in Libano passa per Gaza. Eppure, nonostante i continui tentativi di mediazione, una tregua a Gaza sembra ancora un miraggio lontano. All’Assemblea Generale dell’ONU, il ministro degli esteri saudita, Faisal bin Farhan Al Saud, ha annunciato la creazione di una nuova coalizione internazionale per cercare una soluzione a due stati a Gaza.

L’attacco di Hamas del 7 ottobre ha già causato la morte di 1.205 persone, per lo più civili, secondo un conteggio AFP basato su cifre ufficiali israeliane, che includono anche gli ostaggi uccisi durante la prigionia. Dei 251 ostaggi sequestrati, 97 sono ancora trattenuti a Gaza, e tra questi 33 sono stati dichiarati morti dall’esercito israeliano.

La risposta militare israeliana non si è fatta attendere, con bombardamenti su Gaza che, secondo il ministero della salute locale controllato da Hamas, hanno ucciso almeno 41.534 persone, la maggior parte delle quali civili. L’ONU ha definito queste cifre “affidabili” .

Foto: AFP

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