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Netanyahu cede, ma la pace resta un miraggio: riusciranno i nuovi colloqui a fermare il massacro?

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Israele ha finalmente ceduto alle pressioni internazionali e riprenderà i colloqui per il cessate il fuoco a Gaza il 15 agosto. Questa mossa, richiesta dai mediatori statunitensi, qatarioti ed egiziani, è stata annunciata dall’ufficio del Primo Ministro Benjamin Netanyahu giovedì, mentre la guerra continua a infiammare l’intera regione. La tensione è alle stelle e la domanda che tutti si pongono è: riusciranno questi colloqui a fermare il bagno di sangue?

Nel frattempo, a Gaza, la situazione è sempre più disperata. L’agenzia di difesa civile, controllata da Hamas, ha rivelato che i bombardamenti israeliani hanno colpito duramente, uccidendo più di 18 persone in due scuole. E mentre il sangue scorre per le strade, l’Iran accusa Israele di voler scatenare un conflitto su scala regionale, espandendo la guerra in tutto il Medio Oriente.

Dopo una breve tregua a novembre, i mediatori hanno cercato disperatamente di fermare la spirale di violenza che ha inghiottito Gaza e Israele, una guerra feroce iniziata con l’attacco shock di Hamas il 7 ottobre. “Un accordo quadro è finalmente sul tavolo,” hanno dichiarato giovedì i leader statunitensi, qatarioti ed egiziani in una dichiarazione congiunta, “mancano solo i dettagli per l’implementazione”, aggiungendo che sono pronti a presentare una “proposta finale di compromesso.”

Eppure, la strada verso la pace è irta di ostacoli. Netanyahu, noto per la sua intransigenza, ha ceduto e confermato che Israele invierà una squadra negoziale il 15 agosto, ma le speranze di un accordo definitivo restano fragili. “Non è che l’accordo sarà pronto per essere firmato giovedì. C’è ancora molto lavoro da fare,”  ha avvertito un alto funzionario dell’amministrazione Biden, smorzando gli entusiasmi.

Sul campo, la nomina di Yahya Sinwar, la mente dietro l’attacco del 7 ottobre, come nuovo leader di Hamas, ha reso la situazione ancora più tesa. I negoziati, già estremamente complicati, ora sembrano appesi a un filo sottilissimo.

Nel frattempo, a Gaza, le bombe non smettono di cadere. Gli attacchi israeliani hanno colpito le scuole Al-Zahra e Abdel Fattah Hamoud, provocando una strage. Mohammad al-Mughayyir, alto funzionario dell’agenzia di difesa civile, ha descritto una scena da incubo: “60 persone ferite, più di 40 disperse. Questo è un attacco diretto contro scuole e strutture civili sicure.” L’esercito israeliano, dal canto suo, ha giustificato l’attacco sostenendo che le scuole ospitavano centri di comando di Hamas.

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Ma la carneficina non si ferma qui. Almeno 13 altre persone sono state uccise in diverse aree di Gaza, mentre l’esercito israeliano ha emesso nuovi ordini di evacuazione per Khan Yunis, una delle principali città del sud.

Nel frattempo, la diplomazia internazionale si agita nel tentativo di prevenire un’escalation che potrebbe coinvolgere l’intero Medio Oriente. L’uccisione di due alti leader militanti, attribuita a Israele, ha alimentato promesse di vendetta da parte dei militanti e dei loro sostenitori iraniani. Ali Bagheri, ministro degli Esteri ad interim dell’Iran, ha dichiarato che Israele ha commesso “un errore strategico” uccidendo il leader politico di Hamas Ismail Haniyeh a Teheran, poco dopo l’assassinio del capo militare di Hezbollah a Beirut. Sebbene Israele non abbia ammesso il fatto, l’Iran e i suoi alleati sono pronti a reagire con forza. “Israele cerca di espandere tensioni, guerre e conflitti ad altri paesi,” ha avvertito Bagheri, “ma non ha né la capacità né la forza per affrontare l’Iran.”

E mentre l’ombra di un conflitto più ampio si allunga, Netanyahu ha affermato con decisione che Israele è “preparato sia in modo difensivo che offensivo” ed è “determinato”  a difendere il suo territorio.

In mezzo a questo clima incandescente, l’appello alla calma è sempre più disperato. Anneliese Dodds, ministro britannico per lo sviluppo internazionale, in visita in Giordania, ha implorato: “Dobbiamo vedere una de-escalation.” Anche il presidente francese Emmanuel Macron si è unito al coro, parlando con i leader di Iran e Israele per evitare “un ciclo di rappresaglie” . Ma la realtà sul campo parla di tutt’altro.

La guerra tra Israele e Hamas ha già coinvolto militanti legati a Teheran in Siria, Libano, Iraq e Yemen. Hezbollah, il potente alleato di Hamas in Libano, che ha ingaggiato scontri quasi quotidiani con le truppe israeliane, ha giurato vendetta per l’uccisione del suo capo militare Fuad Shukr.

E mentre la violenza dilaga, emerge un’incredibile verità: l’attacco di Hamas che ha scatenato questo inferno ha provocato la morte di 1.198 persone, per lo più civili. Nel caos, i militanti palestinesi hanno sequestrato 251 ostaggi, 111 dei quali sono ancora nelle loro mani a Gaza, inclusi 39 che, secondo l’esercito israeliano, sono già morti.

Dall’altra parte, la rappresaglia israeliana ha causato un bilancio devastante: almeno 39.699 morti, secondo il ministero della sanità di Gaza. E Netanyahu, che finora ha resistito alle scuse per i fallimenti della sicurezza, ha finalmente ammesso in un’intervista: “Mi dispiace profondamente che sia accaduto qualcosa del genere.” “Guardi sempre indietro e ti chiedi: ‘Avremmo potuto fare qualcosa per prevenirlo?’” ha dichiarato a Time magazine.

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Foto: AFP

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