Per decenni, le mura di cemento del famigerato compound di sicurezza a Damasco hanno nascosto segreti inimmaginabili, alimentando il terrore tra i siriani. Ora, con la caduta della dinastia Assad, quei luoghi intrisi di sofferenza stanno finalmente rivelando i loro orrori. Cosa si cela dietro queste mura, un tempo intoccabili?
Nel cuore del distretto di Kafr Sousa, i ribelli ora sorvegliano gli ingressi di quella che era conosciuta come la “città proibita”. Qui, i servizi segreti gestivano i loro centri di controllo, con prigioni sotterranee e camere di tortura che sembravano progettate per cancellare ogni traccia di umanità. “Ho passato 55 giorni sottoterra,” ricorda Sleiman Kahwaji, un ex prigioniero. “Eravamo in 55 in una cella. Due di noi sono morti, uno di diabete.”
Arrestato mentre era ancora al liceo con l’accusa di “terrorismo”, una delle accuse più usate dal regime per soffocare ogni dissenso, Sleiman cerca ora di ritrovare i luoghi che hanno segnato la sua giovinezza.
Nel buio delle celle, i prigionieri lasciavano messaggi disperati, spesso scritti con il sangue. Uno di questi recita semplicemente: “Mia cara madre.”
Le celle di isolamento erano così piccole che era impossibile sdraiarsi, mentre quelle comuni costringevano fino a 80 persone a dormire a turno, schiacciate in uno spazio disumano.
Thaer Mustafa, un altro ex prigioniero arrestato per presunta diserzione, ricorda quei giorni di tormento. “Quando i ribelli sono entrati a Damasco, i nostri carcerieri sono fuggiti, lasciandoci lì,”
racconta. La liberazione dei prigionieri è stata accompagnata da un’ondata di cittadini che si sono riversati nel compound, trovando migliaia di documenti segreti abbandonati, testimoni di decenni di sorveglianza ossessiva. Un file manoscritto elenca oltre 10.000 prigionieri accusati di appartenere alla Fratellanza Musulmana, un gruppo considerato nemico mortale dalla famiglia Assad.
I documenti rivelano una rete di informatori pagati per riferire ogni dettaglio della vita quotidiana, dalle attività dei semplici cittadini a quelle dei ministri del governo. Perfino i membri del regime non erano immuni: i loro “interrogatori” venivano meticolosamente annotati.
Nel frattempo, Saydnaya, una prigione di massima sicurezza alla periferia di Damasco, è diventata meta di famiglie disperate in cerca di risposte. Khouloud Amini, una madre di 53 anni, è tra loro: “Cerco mio figlio Obada, arrestato nel 2013 mentre era al quarto anno di ingegneria. Sono stata a Saydnaya, ma non l’ho trovato. Mi hanno detto che qui ci sono dungeon segreti. Spero che tutti i prigionieri siriani vengano liberati.”
Questi luoghi, che per decenni hanno incarnato il terrore, ora rivelano la verità nascosta dietro il regime di Assad: una macchina del controllo e della repressione che non risparmiava nessuno, neanche i suoi stessi sostenitori. Mentre i siriani cercano risposte e giustizia, il mondo scopre l’inimmaginabile prezzo pagato da una nazione.
Foto: [AFP]