I bulgari sono tornati alle urne domenica per la settima volta in meno di quattro anni. Un Paese in pieno caos politico, che sembra alimentare sempre più le ambizioni dell’estrema destra. E questa volta, la speranza di un vero cambiamento sembra quasi inesistente.
Tutto è iniziato nel 2020, quando le proteste di massa contro la corruzione travolsero l’allora governo guidato da Boyko Borisov, primo ministro per tre mandati. Da allora, sei elezioni consecutive non sono riuscite a dare stabilità a uno Stato che, tra l’altro, è il membro più povero dell’Unione Europea. Ora, ancora una volta, il partito GERB di Borisov si prepara a guidare con il 26% dei consensi, ma la possibilità di formare un governo stabile resta remota. E, come se non bastasse, anche l’affluenza alle urne è in forte calo, frenata dal timore di brogli. Appena cinque mesi fa, la partecipazione ha raggiunto il minimo storico del 34% dalla fine del comunismo.
“Bloccati in un carosello che non si ferma mai”
Un recente sondaggio ha rivelato che circa il 60% dei bulgari considera “estremamente allarmante”
lo stallo politico che paralizza il Paese. Nelle strade di Sofia, l’apatia dei cittadini si sente e si vede.
“Siamo stufi, questo è certo” ha dichiarato Aneliya Ivanova, una trentatreenne che lavora nel settore IT. “Siamo stanchi di questo carosello che gira sempre allo stesso modo, senza mai cambiare nulla.”
Il caos politico, senza precedenti dal 1989, ha dato spazio e voce al partito ultranazionalista Vazrazhdane, che ha saputo guadagnare terreno, rivaleggiando con la coalizione liberale PP-DB, la quale perde consenso a ogni nuova elezione. La forza del Vazrazhdane è aumentata a dismisura dopo aver proposto una legge per vietare la “propaganda LGBTQ”, approvata in agosto con ampio sostegno, e chiaramente ispirata alla normativa russa.
“L’influenza di Vazrazhdane sta crescendo al punto da poter diventare un possibile alleato per il GERB” ha spiegato Dobromir Zhivkov, direttore del Market Links Institute. Un possibile cambio di rotta dagli Stati Uniti?
Ma non è tutto: anche GERB ha appoggiato la controversa legge anti-LGBTQ, avvicinandosi a Vazrazhdane. Tuttavia, Borisov rassicura: “I miei partner a Bruxelles e Washington non lo permetterebbero”
. Durante i suoi anni al potere, Borisov ha sempre saputo giocare d’astuzia con le sue relazioni internazionali, mantenendo buoni rapporti sia con Mosca sia con Ankara, pur restando fedele alle posizioni dell’UE e della NATO.
La situazione potrebbe però mutare con l’imminente elezione presidenziale americana. Secondo Zhivkov, un’eventuale vittoria di Donald Trump il 5 novembre potrebbe segnare una svolta: “La tolleranza del candidato repubblicano verso la corruzione”
potrebbe spingere il GERB a formare un governo di minoranza, sostenuto tacitamente dall’ex magnate Delyan Peevski, che resta sotto sanzioni di Stati Uniti e Regno Unito.
Peevski, 44 anni, ha recentemente creato una nuova fazione all’interno del partito MRF, appoggiato dalla minoranza turca. Questa divisione potrebbe portare al MRF un 7% dei consensi, ma alcuni esponenti dell’opposizione temono brogli elettorali.
“Tutti sperano che questa volta si riesca a formare un governo, anche solo per tamponare la situazione” ha dichiarato Georgy Hristov, un pensionato che, nonostante tutto, ha deciso di votare. “Voterò anche se non ne vedo più il senso”
ha detto, mentre molti altri cittadini sono pronti a restare a casa.
Il prezzo dell’instabilità politica
La lunga instabilità ha messo in pausa le riforme anticorruzione e la transizione energetica della Bulgaria, compromettendo anche i fondi europei. Intanto, l’ingresso della Bulgaria nell’eurozona e nell’area Schengen sembra solo un miraggio, sempre più lontano.
La scissione di Peevski all’interno del partito MRF, che storicamente ha il sostegno della minoranza musulmana del Paese, potrebbe mettere in crisi un attore chiave della politica bulgara dai tempi del comunismo. E il prezzo di queste continue elezioni pesa anche sulle finanze dello Stato: organizzare sette elezioni in così poco tempo ha un costo che sfiora i 400 milioni di euro.
I seggi elettorali hanno aperto domenica alle 7 (0500 GMT) e chiuderanno alle 20.
Foto: AFP