Jean Claude Micallef ha scatenato un vero e proprio terremoto con la sua incredibile decisione di ingaggiare un ex calciatore bandito – colpevole di un crimine che avrebbe dovuto tenerlo lontano da qualsiasi incarico ufficiale – per fornire servizi audiovisivi all’autorità per l’integrità sportiva. Un’azione così sconcertante da lasciare senza parole, tanto che nessuno riesce a capire come abbia potuto prendere una simile decisione senza che ci fosse una giustificazione plausibile. Eppure, invece di ammettere l’errore, Micallef ha scelto di cercare di mascherarlo in un’intervista radiofonica, dove ha gettato benzina sul fuoco, cercando di difendersi a tutti i costi.
Mentre il contratto con l’ex calciatore era stato svelato dal Times of Malta
, Micallef non ha trovato nemmeno una spiegazione coerente per il suo coinvolgimento, tanto che si è limitato a ripetere versioni che non facevano altro che allontanarsi dalla realtà. Anziché scusarsi o offrire una risposta sensata, ha attaccato a testa bassa quelli che lui definisce i suoi “colleghi dei media”, accusandoli di essere mosse da invidia. Un’accusa che fa riflettere, considerando che l’origine della frase che ha usato deriva da una delle favole più famose di Esopo. La volpe che, non riuscendo a raggiungere l’uva, cerca di giustificarsi dicendo che tanto era “amara”. Ma come si può paragonare il comportamento dei giornalisti, che hanno semplicemente svelato la verità, a una volpe che non arriva a un grappolo d’uva? È chiaro che Micallef, invece di prendere atto della sua clamorosa gaffe, ha preferito difendersi in maniera immatura.
Le sue dichiarazioni sono shockanti: “Non sarò sottoposto a ridicolo” e “Tutti pagheranno per quello che hanno cercato di fare”
. Frasi che non sembrano altro che una minaccia velata, un segnale di vendetta per chi ha avuto il coraggio di mettere in luce l’errore. Durante un’intervista, Micallef ha cercato di difendersi, affermando di conoscere i “colpevoli” dietro la polemica, promettendo vendetta, addirittura insinuando che l’ex calciatore avesse un “curriculum pulito”, cercando di nascondere il suo divieto a vita dietro a una narrazione completamente distorta. Ma come può un uomo che ricopre una posizione di così alta responsabilità, incaricato di combattere il match-fixing nello sport, agire in questo modo? La sua decisione di assumere una persona con un passato tanto compromesso è veramente difficile da giustificare, indipendentemente da quale fosse la base legale per farlo.
L’emergere del contratto ha provocato un’ondata di imbarazzo anche per il governo. Il ministro dello Sport, Clifton Grima, ha ammesso senza esitazione che l’incidente ha messo in cattiva luce l’autorità sportiva, dichiarando che la persona coinvolta “non lavorerà né fornirà alcun servizio all’autorità”
in futuro. Questo episodio non è solo una piccola gaffe, ma un chiaro segno della mancanza di buon senso e di consapevolezza del ruolo che Micallef ricopre come amministratore delegato dell’autorità incaricata di proteggere l’integrità dello sport. La sua incapacità di assumersi la responsabilità di un errore così evidente è grave quanto la sua ostinazione nel difendersi con argomentazioni senza fondamento.
Il paese è ancora sconvolto dalle recenti modifiche alle inchieste giudiziarie, che hanno intaccato i principi fondamentali della democrazia, e dai numerosi scandali che non hanno portato a reali conseguenze o dimissioni. Persino coloro che sono stati costretti a lasciare la politica, ora ricompaiono in ruoli discutibili. E quando i whistleblower vengono minacciati apertamente da un funzionario pubblico, è chiaro che le leggi introdotte negli ultimi anni sono state completamente inefficaci. La vera leadership richiede responsabilità, trasparenza e la capacità di riflettere sui propri errori. Quando, invece, i funzionari pubblici si rifugiano in scuse e intimidazioni, minano le stesse istituzioni che dovrebbero tutelare la società.
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