Un uomo di 71 anni, affetto da due forme aggressive di cancro, si trova oggi a combattere non solo per la sua salute, ma per la sua libertà. Edward Pavia, incarcerato lo scorso mese per un crimine commesso ben 42 anni fa, ha lanciato un accorato appello al Presidente della Repubblica: implora la grazia, chiedendo di essere liberato dalla prigione che lo ha inghiottito in uno dei momenti più fragili della sua esistenza.
La storia di Pavia è una spirale di sofferenza e ingiustizia che sembra non avere fine. Imprigionato a luglio per 18 mesi, non ha potuto saldare una colossale multa di un milione di euro, una sanzione inflittagli nel lontano 1998. Eppure, è convinto che avrebbe dovuto scontare la sua pena già allora, quando la sua vita era ancora integra, e non ora, mentre è costretto a combattere contro il cancro alla prostata e alla pelle.
Il suo grido è chiaro: “Questo ritardo è stato una tortura, un’esperienza disumana e ingiusta,”
ha dichiarato Pavia, attraverso il suo avvocato José Herrera, mentre presentava una petizione al Presidente per ottenere la grazia. Lo scorso venerdì, Herrera ha anche avviato una causa costituzionale, denunciando che l’incarcerazione di Pavia è una forma di trattamento degradante e inumano, frutto di ritardi insensati nell’esecuzione della sentenza.
“È incredibilmente ingiusto. Accetto che debba pagare per il mio crimine, ovviamente, ma avrei dovuto scontare la pena decenni fa, non ora,” ha ribadito Pavia durante un incontro con il Times of Malta, avvenuto in prigione insieme alla sua famiglia. “Perché mi hanno lasciato in sospeso per tutti questi anni? Perché mi hanno costretto a vivere nella costante paura di essere strappato via dalla mia famiglia? Credetemi, quella è stata una punizione peggiore di quanto sarebbe stato essere incarcerato allora e metterci una pietra sopra.”
Il caso di Pavia si trascina da più di quattro decenni. Nel 1982, a soli 28 anni, tentò di importare alcolici di contrabbando. Fu incriminato l’anno successivo e il processo penale durò per 12 anni, fino al 1995, quando venne dichiarato colpevole. La sentenza fu confermata in appello nel 1998, e a Pavia fu inflitta una pena sospesa e una multa di circa 939.739 euro.
In un tentativo disperato di far valere i propri diritti, Pavia intentò una causa costituzionale, sostenendo che il lungo processo aveva violato i suoi diritti umani. Sebbene la sentenza penale non fu annullata, il tribunale riconobbe i ritardi ingiustificati, assegnandogli un risarcimento di soli 5.000 euro nel 2016. Pavia portò poi il suo caso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che nel 2020 confermò ulteriori ritardi e gli concesse un risarcimento aggiuntivo di 21.000 euro.
José Herrera non usa mezzi termini: “Nulla impediva alle autorità di far eseguire la sentenza penale già nel 1998, e Pavia avrebbe dovuto scontare la pena allora. Questo avrebbe risparmiato a lui, e alla sua famiglia, altri 25 anni di sofferenze inutili. Anche aspettando la sentenza del tribunale costituzionale, nulla avrebbe impedito loro di incarcerarlo già nel 2016.”
“Invece, non hanno fatto nulla dal 2016 e sono venuti a prendermi solo ora,” ha raccontato Pavia, ancora incredulo per il trattamento riservatogli. La notte di luglio in cui la polizia si è presentata alla sua porta, sospettava il motivo, ma non riusciva a credere che, dopo tutti quegli anni, stesse davvero accadendo. La sua compagna Joanne, con cui ha condiviso 35 anni della sua vita, ricorda lo shock di vederlo portare via, ammettendo di non riuscire a immaginare la vita senza di lui. “Per 35 anni abbiamo fatto tutto insieme. Siamo cresciuti insieme e non so cosa fare senza di lui. Mi sento come un pesce fuor d’acqua. Sono nulla senza di lui. Per me, è come se il mondo si fosse fermato.”
José Herrera è determinato a non lasciare nulla di intentato: “In tutta la mia esperienza come avvocato penalista, non ho mai visto un caso che si sia protratto per così tanto tempo. È inaccettabile e sono fermamente convinto che in casi del genere lo Stato dovrebbe intervenire – tramite il Presidente – per rimediare all’ingiustizia per motivi umanitari.”
La situazione di Pavia è resa ancora più drammatica dalla sua condizione di salute. Mentre era in carcere il mese scorso, ha dovuto essere trasferito in ospedale per un intervento chirurgico per trattare il cancro alla pelle. Ora, ha chiesto alla commissione per le remissioni della prigione di considerare la riduzione della sua pena per motivi umanitari. La sua famiglia, preoccupata e impotente, ha contattato il ministro della Giustizia, Jonathan Attard, che, a quanto riferito, si è mostrato “molto comprensivo ed empatico.”
Foto: Archivio Times Of Malta