Un dipendente del Dipartimento della Protezione Civile è finito in tribunale con accuse pesanti per aver orchestrato delle minacce di bomba che hanno messo in ginocchio il servizio di traghetti Gozo Channel. Sotto accusa è Marvin Tabone, un uomo di 43 anni, padre di famiglia, che si è dichiarato non colpevole davanti a un’aula colma di tensione. Le accuse? Creare terrore, usare illegalmente strumenti di comunicazione e, soprattutto, riportare falsamente crimini che avrebbe dovuto prevenire.
Il sabato pomeriggio, le cose sono precipitate: meno di un giorno dopo un’altra minaccia simile, il traghetto Gozo è stato di nuovo bloccato, paralizzando centinaia di persone. La polizia anti-terrorismo è entrata in azione alle 15:00, allertata dalla stazione di Qawra per una telefonata minatoria di un uomo a Gozo Channel. Quella chiamata, arrivata nei momenti di punta del servizio, ha seminato il panico sia a Ċirkewwa che a Mġarr. Scene di caos e paura tra i passeggeri, inclusi turisti e pazienti che, dopo estenuanti trattamenti di chemioterapia al Mater Dei Hospital, si stavano dirigendo a casa.
Un ufficiale in servizio ha descritto l’atmosfera come di “grande panico”. “Ho pregato Dio che non succedesse altro, perché come avrebbe potuto gestirlo il corpo di polizia?”
ha confessato l’ispettore, sottolineando la portata drammatica di quegli istanti. Anche i commercianti di Gozo, in una delle serate più affollate della settimana, hanno subito il colpo di questa minaccia che ha arrestato le loro attività.
Le indagini della polizia hanno portato rapidamente a un numero di telefono, e da lì a Tabone. Nel giro di due ore e mezza, le forze dell’ordine erano già davanti alla sua casa di Mqabba. Quando però Tabone non è stato trovato in casa, gli agenti lo hanno individuato poco dopo, all’uscita della chiesa dove aveva appena assistito alla cerimonia di conferma del figlio. Il sospetto si è mostrato “in stato di shock”
ma ha consegnato il suo cellulare alla polizia, spiegando anche come sbloccarlo. In modo inaspettato, è stato rilasciato sul posto e autorizzato a partecipare alla cena di conferma con la famiglia.
Eppure, quando la polizia ha analizzato il telefono, quel primo sospetto si è trasformato in “ragionevole sospetto” che Tabone fosse il responsabile delle minacce. Durante una successiva perquisizione a casa sua, effettuata su mandato magistrale, il telefono da cui sono partite le chiamate minatorie risultava introvabile. L’unica traccia? La scatola vuota del dispositivo.
La richiesta di libertà su cauzione è stata contestata dagli inquirenti, dato che il telefono incriminato non era stato trovato e alcuni testimoni civili non avevano ancora testimoniato. L’avvocato della difesa, Franco Debono, ha però replicato con fermezza: anche se il caso ha suscitato allarme, il suo cliente non ha ammesso colpe. “Non può ammettere perché dice ‘non sono stato io’”, ha dichiarato Debono, ribadendo che non esisteva alcuna prova concreta che collegasse l’imputato a quelle chiamate. Tabone, ha aggiunto, è un uomo di famiglia, con un lavoro stabile e una fedina penale quasi immacolata.
Dopo aver ascoltato le argomentazioni, il magistrato Rachel Montebello ha deciso che non c’era un rischio reale che non potesse essere neutralizzato con condizioni di cauzione adeguate. Tabone è stato quindi rilasciato dietro una cauzione di €3000, una garanzia personale di €3000, con l’obbligo di firmare il registro tre volte a settimana e con il divieto di avvicinarsi ai testimoni dell’accusa, in particolare a quelli citati nel decreto di cauzione.
Foto: Matthew Mirabelli