Una storia che scuote le coscienze e solleva interrogativi globali: tre giovani, noti come El Hiblu 3, si trovano nel mirino della giustizia maltese per un’accusa di terrorismo legata a un presunto ammutinamento a bordo di una nave nel 2019. La loro richiesta di far cadere le accuse è stata respinta ancora una volta, lasciando il mondo a chiedersi se giustizia e diritti umani stiano davvero camminando fianco a fianco.
Nel marzo del 2019, la petroliera El Hiblu ha salvato decine di migranti al largo delle coste libiche, per poi dirigersi verso un porto in Libia. Ma la paura di tornare in un luogo dove abusi e violenze sono all’ordine del giorno ha spinto i migranti a chiedere disperatamente una rotta verso Malta. Secondo l’accusa, i tre imputati – Amara Kromah, Abdul Kader e Abdalla Bari, rispettivamente di 15, 16 e 19 anni all’epoca – avrebbero guidato il dirottamento. I tre negano con forza, affermando invece di aver agito come semplici traduttori per facilitare la comunicazione con il capitano della nave.
Nonostante le dichiarazioni di innocenza, il sistema legale maltese ha deciso che il caso deve andare avanti. Una corte d’appello ha infatti confermato la giurisdizione maltese, concludendo che “questi fatti… possono essere decisi solo dalla giuria durante il processo”
. Una decisione che lascia i due giovani ancora presenti a Malta in balia di un processo che li ha già tenuti prigionieri di un sistema per quasi cinque anni. Il terzo imputato, Abdul Kader, è scomparso nel 2023 e si presume abbia lasciato il Paese.
La vicenda ha scatenato un’ondata di indignazione a livello internazionale. Amnesty International e altre organizzazioni per i diritti umani hanno denunciato il caso come un tentativo di scoraggiare i migranti dal resistere ai respingimenti verso la Libia, definiti da molti una violazione del diritto internazionale. A Malta, figure di spicco come l’ex presidente Marie-Louise Coleiro Preca si sono unite agli appelli per l’archiviazione delle accuse, definendo il processo un esempio di ingiustizia.
Le voci degli imputati riflettono il peso di una battaglia estenuante. Abdalla Bari, visibilmente provato, ha dichiarato: “Negli ultimi cinque anni ho vissuto una vita caotica e complicata, e non so quando questo incubo finirà. Ma ho fede in Dio che tutto questo avrà una fine, perché siamo innocenti”. Amara Kromah, altrettanto distrutto, ha aggiunto: “Quando finalmente abbiamo avuto l’opportunità di fuggire dai trattamenti inumani in Libia, non potevamo permetterci di essere rimandati indietro in un luogo dove la nostra libertà e sicurezza non erano più garantite. Venire a Malta era l’unica opzione per salvare le nostre vite”
.
Intanto, un gruppo di oltre 30 attivisti e organizzazioni a sostegno degli imputati accusa lo stato maltese di voler fare dei tre giovani un esempio: “Lo scopo è scoraggiare altri dal difendere i propri diritti umani fondamentali e resistere legittimamente ai respingimenti verso la Libia”. Gli attivisti denunciano inoltre che “questi ritorni forzati sono una chiara violazione del diritto internazionale, costituendo una minaccia alla vita e al benessere dei migranti”.
L’attenzione globale è puntata su Malta, con la speranza che giustizia, compassione e rispetto per i diritti umani prevalgano in una vicenda che potrebbe cambiare il destino di questi giovani e di molti altri come loro.
Foto: [Archivio Times of Malta]