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Malta

Dietro le porte chiuse: il dramma nascosto di tante famiglie a Malta

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Una realtà sconvolgente si cela dietro le porte chiuse di molte case a Malta: bambini lasciati soli, famiglie distrutte dalla burocrazia e genitori costretti a scegliere tra il lavoro e il benessere dei propri figli. È questa la storia di Juan e della sua famiglia, arrivati sull’isola quasi due anni fa con la speranza di un futuro migliore. Ma il sogno si è trasformato in un incubo. Uno dei loro figli, di soli nove anni, è ancora escluso dalla scuola, mentre un altro, di tredici, ha perso un intero anno scolastico. Non sono soli: decine di famiglie vivono lo stesso dramma, bloccate in un limbo amministrativo che le tiene prigioniere.

Secondo una nuova ricerca dell’Arcidiocesi di Malta, la colpa è di un sistema che mette le famiglie alla mercé di leggi rigide e irrealistiche. Comunità di colombiani, serbi e altre nazionalità si ritrovano intrappolate in questa rete di regole e requisiti impossibili da soddisfare. “Il problema principale è una politica di ricongiungimento familiare che si basa su criteri salariali irraggiungibili per molti,”  afferma il rapporto. Le famiglie devono dimostrare di guadagnare il 20% in più rispetto alla media o al salario mediano nazionale, una soglia che varia tra 18.000 e 23.100 euro. Se queste medie vengono ricalcolate, molte famiglie non riescono più a raggiungere il requisito, rischiando di perdere i loro permessi.

Per Juan, i problemi sono iniziati quando il permesso di lavoro della moglie ha subito ritardi, impedendogli di includere il suo reddito nella richiesta per i documenti di soggiorno dei figli. Senza questi documenti, l’accesso alle scuole pubbliche è negato. “I bambini sono lasciati a casa da soli perché non ci sono alternative,”  denunciano i leader delle comunità coinvolte.

Eppure, alcune famiglie riescono a sopravvivere grazie alla solidarietà di amici e colleghi. In alcuni casi, i datori di lavoro permettono ai genitori di portare i figli sul posto di lavoro, e alcune scuole chiudono un occhio per accogliere i bambini nonostante la mancanza di documenti. Ma queste sono eccezioni. La maggior parte dei genitori è costretta a lavorare, lasciando i propri figli senza supervisione, con tutte le conseguenze che ciò comporta.

La Justice and Peace Commission dell’Arcidiocesi di Malta sta dando voce a queste famiglie, chiedendo una revisione delle politiche che tenga conto delle loro realtà umane. Il rapporto, intitolato “Beyond GDP II: Third-Country Nationals in Malta: Sharing in our Economic Future”, evidenzia come il successo di un paese non possa essere misurato solo con i numeri del PIL. “Non stiamo parlando di macchine economiche che si possono accendere e spegnere a piacimento. Queste sono persone, e meritano di essere trattate come tali,”  ha dichiarato Daniel Darmanin, presidente della Commissione.

Queste storie di lotta personale mettono in luce la mancanza di coerenza nel sistema. Eduardo, 46 anni, e sua moglie sono a Malta da quattro anni con il loro figlio undicenne. La loro prima domanda per il permesso di soggiorno è stata accettata, ma un errore nella documentazione ha portato al rigetto del rinnovo. Nel frattempo, per fortuna, la scuola ha deciso di accogliere il figlio. “Non siamo potuti tornare in Colombia per Natale, ma va bene così. Siamo insieme,” ha detto Eduardo.

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Johanna, arrivata con il marito e i loro due figli, ha vissuto un’esperienza ancora più traumatica. “I miei figli sono stati bullizzati a scuola perché considerati ‘illegali’. È devastante,”  ha confessato. Tuttavia, grazie a un datore di lavoro comprensivo, ha potuto portare i suoi bambini con sé in hotel durante il lavoro.

Queste famiglie condividono una speranza: che le regole cambino. Chiedono una revisione urgente della norma che obbliga a richiedere i permessi per i figli quando questi non sono ancora a Malta. “Questa regola non ha senso per i bambini. Sono legati ai genitori, non è come per un coniuge o altri familiari,”  sottolinea Eduardo.

Le difficoltà non si limitano ai permessi di soggiorno. Le famiglie lamentano anche i costi esorbitanti di ogni rinnovo o ricorso, oltre alla regola che concede solo 10 giorni per trovare un nuovo lavoro quando si perde l’impiego, pena l’espulsione. Una modifica a questa norma è attualmente in discussione, con la possibilità di estendere il limite a 60 giorni.

Nonostante le difficoltà, queste famiglie continuano a lottare. La loro determinazione e resilienza sono un potente richiamo alla necessità di politiche più giuste e umane.

Foto: Shutterstock.com

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