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Trump e il piano dei dazi: strategia audace o rischio per gli Usa?

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Donald Trump torna al potere con un piano audace e controverso: dazi a tappeto su tutto e tutti. Dopo elezioni rapide e senza scossoni, la Camera, il Senato e l’amministrazione USA si piegano completamente alla sua volontà, trasformandolo in un leader senza ostacoli. Questa volta, però, il ritmo delle decisioni è impressionante: le nomine governative si susseguono senza sosta, lasciando poco spazio a critiche. Persino scelte bizzarre come un attore tatuato per la Difesa o un noto anti-vaccinista per la Sanità non riescono a fermare la marcia inarrestabile del tycoon.

La sua arma preferita per rivoluzionare il sistema? I dazi. Per Trump, come ama ripetere instancabilmente, sono “la parola più bella del dizionario”  e il cuore pulsante della sua politica estera, industriale e fiscale. Ma cosa sono esattamente questi dazi? Si tratta di tasse sulle importazioni, un meccanismo che penalizza i beni esteri per favorire quelli locali. Un esempio lampante: aumentare i dazi sui pomodori importati potrebbe farli diventare più costosi di quelli nazionali, spingendo gli americani a scegliere i prodotti locali. Tuttavia, questa mossa che sembra patriottica rischia di danneggiare i consumatori, costretti a pagare di più per una qualità spesso inferiore.

Gli economisti non hanno dubbi: “Tutte le forme di dazi sono economicamente dannose”  ribadisce Andreas Weitzer, giornalista indipendente con base a Malta. La teoria del vantaggio comparato di David Ricardo sostiene che ogni nazione dovrebbe specializzarsi in ciò che sa fare meglio, scambiando con gli altri ciò che non conviene produrre. Ma Trump sembra immune a queste logiche economiche: i dazi sono la sua visione del mondo, e la sua determinazione è assoluta. Durante la campagna elettorale ha persino minacciato di imporre tariffe del 25% su tutte le importazioni da Canada e Messico.

Anche l’Unione Europea non è da meno, proponendo una tassa sul carbonio per proteggere le sue industrie. Tuttavia, la visione di Trump è più estrema: i dazi devono essere “universali” per eliminare il cronico deficit commerciale americano. Gli osservatori, però, si chiedono chi pagherà il conto. I consumatori statunitensi? Le aziende locali? Oppure i paesi esportatori? “Di solito è un mix”  spiegano gli esperti, ma una cosa è certa: le conseguenze economiche si faranno sentire.

Dietro i proclami sui dazi, Trump nasconde un progetto fiscale ancora più ambizioso: abolire le imposte sul reddito, sostituendole con i proventi delle tariffe doganali. Un sogno che molti economisti definiscono irrealizzabile, dato che il vero problema non è il deficit commerciale, ma il colossale disavanzo di bilancio degli Stati Uniti, attualmente al 6,7%.

Nel frattempo, Trump trova sempre nuove giustificazioni per i suoi dazi, dall’immigrazione al traffico di droga, promettendo che saranno gli stranieri a pagare. Tuttavia, la realtà è ben diversa: come dimostra il caso di Malta, se un paese come il Giappone imponesse dazi sul tonno maltese, sarebbero i produttori maltesi a sostenere gran parte dei costi, perdendo il loro unico mercato di riferimento.

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La verità è che i dazi, per quanto patriottici possano sembrare, rischiano di danneggiare più gli Stati Uniti che i loro avversari commerciali. Ma Trump non sembra preoccuparsene: il suo approccio protezionista è tanto audace quanto rischioso. Soltanto il tempo dirà se sarà un successo o l’ennesima illusione economica.

Foto: AFP

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