C’è qualcosa di profondo, un senso di appagamento interiore, che nasce quando agiamo in linea con i nostri valori. Ma cosa significa davvero essere etici in un’organizzazione?
Per cinque anni, ho esplorato questa domanda con l’Università di Glasgow, intervistando decine di persone, in particolare maltesi, e raccogliendo le loro esperienze. La mia ricerca non mi ha portato a risposte definitive, ma a nuove domande e preziose intuizioni. Tra queste, un tema emerge chiaramente: il potere delle scelte e delle dinamiche di controllo. Come ha detto uno dei partecipanti: “Sembra che l’etica ruoti intorno al fatto di avere o non avere opzioni reali… Un topo non attacca una persona, ma se lo metti all’angolo, ti attaccherà.”
E allora? Cosa può fare un individuo quando si trova intrappolato in un sistema che sembra spingerlo verso l’assenza di etica? Quando la cultura aziendale o nazionale forza la mano e lascia pochi margini di manovra, molti si sentono impotenti. Ma la realtà è complessa: “dipende”
è la risposta che ritorna costantemente. Dipende dal contesto, dal paese, dall’organizzazione, dai valori personali e persino dall’umore del momento. E sopra tutto, dipende da chi ha il potere e da come questo potere viene esercitato.
Nel mondo aziendale, alcuni sostengono che essere strategici, negoziare con astuzia e fare vendite “al limite” siano tratti indispensabili. Un’assenza di etica sembra essere implicita nei ruoli professionali. Altri, invece, si battono per l’onestà, accettando che ciò possa significare meno profitti, a volte persino il fallimento. È un compromesso che non tutti sono disposti a fare. E non è solo un problema delle imprese: anche le organizzazioni benefiche, sempre in cerca di donazioni, e gli enti governativi, spesso impantanati nel clientelismo, non sono immuni a queste dinamiche.
Ma è davvero solo l’ambiente a influenzarci? Dare la colpa a ciò che ci circonda è semplice, ma spesso ci dimentichiamo del potere che abbiamo per cambiare le cose.
Esiste una riflessione necessaria: la capacità di scegliere è più nelle nostre mani di quanto crediamo. A volte, non è tanto l’aspettativa degli altri a condizionare le nostre decisioni, quanto il modo in cui interpretiamo quella aspettativa. Per esempio, se una persona percepisce il proprio ambiente lavorativo come onesto, anche se non lo è, agisce in base a quella percezione.
Nella mia ricerca, ho scoperto che le decisioni non etiche si dispongono lungo uno spettro che va dall’inconsapevolezza totale alla piena consapevolezza. Ci sono coloro che agiscono senza sapere di violare un principio etico, come un turista che, ignorandone il significato culturale, mostra le suole dei piedi in un paese straniero.
E poi ci sono quelli che si ingannano da soli, costruendo giustificazioni per scelte discutibili. Alcuni persino mascherano azioni non etiche come atti eroici, come se portassero giustizia a situazioni ingiuste.
Molti si sentono costretti a obbedire agli ordini. È una condizione umana esplorata dagli esperimenti degli anni ’60, volti a capire come persone comuni potessero compiere atrocità. Altri vivono in una nebbia morale, consapevoli del dilemma etico ma incapaci di decidere cosa sia giusto fare.
Ma il punto più affascinante dello spettro è la consapevolezza etica. Come ha detto un partecipante: “Vorrei almeno non sapere certe cose. Mi sentirei più tranquillo con la mia coscienza.”
Eppure, è proprio quando si supera quella linea invisibile che tutto cambia. Per alcune persone, cedere a pressioni contrarie ai propri valori non è più un’opzione. È lì che decidono di affrontare il rischio e di agire, indipendentemente dalle conseguenze.
Questi atti di coraggio non sempre vengono premiati. A volte si paga un prezzo, come perdere il rispetto o persino il lavoro, pur avendo una famiglia da mantenere. Ma il vero premio sembra essere interiore: una soddisfazione profonda che deriva dal restare fedeli ai propri valori.
Quello che ho imparato è che nessuno è completamente etico o del tutto privo di etica. Siamo tutti su uno spettro. È importante riconoscere le nostre azioni etiche e spronarci a compierne altre. E quando ci vediamo come moralmente superiori, è utile ricordare che anche noi, a volte, agiamo diversamente da come vorremmo.
Siamo tutti case di vetro, in un modo o nell’altro. Invece di lanciare pietre, dovremmo concentrarci sul rimuovere le erbacce e coltivare i fiori.
Questo lavoro è stato in parte finanziato dal Tertiary Education Scholarship Scheme (Malta) e completato grazie al supporto di famiglia, amici, accademici e partecipanti. Non tutto può essere diplomi o lauree, ma l’educazione rimane fondamentale.
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